Il talento del cantautore tedesco è talmente stabordante che si fa fatica a trovare le parole giuste per descriverlo. Non solo, è estremamente difficile rapportarsi alla sua evoluzione perché negli ultimi hanno saputo abbracciare stili diversi e proporre progetti anche molto lontani tra loro, come per esempio i formidabili Trialogos che attendiamo in studio per il successore di ‘Stroh Zu Gold’ oppure gli Ananda Mida (un’altra gemma preziosa in casa Go Down Records). E anche difficile addentrarsi nei meandri di un songwriting maledetto, evocativo, capace di scuotere dentro e turbare l’animo così come di trasmettere un feeling rock n’ roll d’annata. Dopo lavori immensi come ‘Doom Folk’, capace addirittura di creare un genere dal nulla, o ‘Wahn Und Sinn’, ‘Troubadour’ è la testimonianza di un approccio compositivo in cui Conny Ochs si è messo ancora più a nudo, esattamente come succede quando sale su un palco e imbraccia la sua chitarra. Poco importa che si tratti di folk o alt-country, di blues o puro rock n’ roll, perché quello che vi accadrà, scorrendo le undici tracce in questione, sarà di trovarvi catapultati in un vecchio teatro vuoto, al cospetto di un artista epico e trionfale, scarsamente illuminato on stage. Poco importa il linguaggio, perché il suo è universale e non dipende dall’idioma parlato. Sono sufficienti pochi minuti per rimanere sbigottiti di fronte al contenuto emotivo delle prime canzoni. Si parte fortissimo con ‘Holy Motors’, collegamento voluto col lavoro precedente, e si prosegue con le più intime ‘Cool Black Stars’ e ‘Trouble Me’. Viene da chiedersi cosa debba fare una stella per uscire dall’oscurità, per lasciarsi certi lati della propria personalità alle spalle e non essere costantemente il riflesso di guai, turbolenze interne o devastazioni. Le registrazioni si sono svolte ai Kabumm Studio di Berlino e la produzione è eccellente, in bilico tra certe cose di Nick Cave ed altre di Lou Reed, e Thommy Krawallo (Baby Universal, Wino) si è occupato del mixaggio, cercando di accentuare gli spigoli. Sicker Man appare in ‘Edge Of Love’ mentre ‘Inside The Man’ mi ha addirittura riportato alla memoria l’atmosfera di ‘Raw Love Songs’. Quello che è certo è che Conny Ochs sfugge a qualsiasi tipo di catalogazione. É uno dei pochi geni che abbiamo nella musica alternativa di oggi e dal vivo sa costruire un legame pazzesco col proprio pubblico. Con le mie umili parole, spero di essere riuscito a rendere giustizia ad un’opera d’arte immensa. Un disco che va ascoltato dall’inizio alla fine e che vi costringerà a recuperare i vinili di Leonard Cohen, Jeff Buckley e Elliot Smith. Poesia allo stato brado.