Negli ultimi anni la scena islandese ha avuto più difficoltà del previsto, dovute prima alla pandemia che ha messo in crisi l’intera industria musicale e in seguito alla sofferenza patita dall’organizzazione di Iceland Airwaves che ancora non è tornato agli splendori di un tempo, sebbene sia sulla buona strada. Una serie di problemat1iche che non si sono riflesse in un calo di nuove proposte locali, a conferma di quanto speciale sia questa comunità così lontana geograficamente. Una rivelazione assoluta, non per gli addetti ai lavori che già ne parlano da un po’ di tempo, è senza dubbio questo trio dedito ad un ibrido tra post-punk e pop rock, appesantito con intelligenza da tutto quello che si possa trovare in giro di nero e decadente. Fin dalla intro, ‘Fragments’ – prodotto da Lawrence Fergus Goodwin in passato a servizio di Totems e Emily Edrosa - non suona come tutti i dischi post-punk che vengono immessi sul mercato al giorno d’oggi. La componente malinconica nordica è significativa, ma non è solo quella a fare la differenza. ‘Off Guard’ – con Hermigervill degli FM Belfast alla batteria- e ‘Rewind’ infatti sarebbero ugualmente letali anche se le trame elettroniche fossero rese minimali e gli effetti sulle voci venissero cancellati. Il songwriting è teso, fragile, ricco di tensione e sul punto di esplodere da un momento all’altro. Le figure dei musicisti sono spettrali eppure ‘On Your Kness’ è un singolo che arriva diritto alla testa come le hit da classifica. ‘Give In’ e ‘Bond’ sono invece i pezzi che trasmettono più degli altri la sensazione di un gruppo che dal vivo appare sbandato, imprevedibile, micidiale in ogni sua singola mossa. Probabilmente se Rún Arnadóttir, Starri Holm e Stefanía Pálsdóttir fossero inglesi a quest’ora ne parlerebbero tutti. Però non sarebbe la stessa cosa. Non ho il coraggio di pensare dove potrebbero arrivare.