Un esordio superbo quello della band lombarda che passa dal cantautorato a suggestioni indie pop e jazz con una facilità disarmante e dimostra una personalità fuori dal comune. Non parliamo di ragazzini alle prime armi viste le passate esperienze dei membri con formazioni come Dust, Motel e Admiral e il disco prodotto da Matteo Cantaluppi (The Giornalisti) e impreziosito dal featuring di Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus, è arrivato in redazione in vinile, un’edizione lussureggiante, col bellissimo artwork di Andrea Giambelli e Camilla Matteuzzi, che vale da sola l’acquisto. Le tracce affrontano temi complessi e talvolta oscuri, esaltano la drammaticità dell’immigrazione clandestina (‘Vlora’), narrano la bella America di oggi e riportano con la mente alla caduta del Muro di Berlino ed a tutto ciò che ha comportato (‘Autunno '91’), ma soprattutto creano una sontuosa ‘Cattedrale’ di suoni e parole, nella quale l’ascoltatore può rifugiarsi, rimanendo incantato dall’apparente leggerezza del songwriting che cita senza falsa modestia Nick Cave & The Bad Seeds (la “murder ballad” ‘Codice’ è solo un esempio) e Black Heart Processions e tocca sempre le corde giuste. I Sequoia sono poetici e amari, capaci di far riflettere ed emozionare. La voce di Marco Colombo lascia il segno (‘Aspetto Te’ e ‘Crinale’) e, tra chitarre, pianoforte e synth, bassi e percussioni ricoprono un ruolo fondamentale, alla ricerca di un’estetica sonora che in Italia solo pochi hanno saputo raggiungere (mi vengono in mente Emma Nolde, Marta Tenaglia e Studio Murena anche se siamo in ambiti diversi). Un segnale di vitalità per un panorama italiano affossato da scelte discografiche rivedibili e programmi televisivi che premiamo il niente.