Justin K Broadrick evidentemente sentiva di dover esprimere qualcosa di diverso, qualcosa in grado di esulare dalle escursioni creative di Jesu, dalle derive ambientali di Final, dalle passeggiate elettroniche di Palesketcher o dalla resurrezione di Godflesh (volendo fare riferimento ai progetti che lo vedono attualmente coinvolto). Qualcosa capace di riportarlo a contatto con una realtà sonora più cruda e terroristica e dove sono le macchine a prevalere, per quanto magistralmente pilotate da un essere umano. Forse anche per questo ha deciso di ridare vita a un moniker - JK Flesh - con cui non aveva mai rilasciato un lavoro vero e proprio, ma che aveva utilizzato per alcuni remix o quando era parte di Techno Animal, in compagnia dell?altra mente suprema che risponde al nome di Kevin Martin, e Curse Of The Golden Vampire (in combutta con Alec Empire). Di certo, e questo lo si era intuito prima ancora di prestare orecchio a ?Posthuman? (pubblicato dalla interessante 3by3), tale scelta lo avrebbe portato verso qualcosa di estremamente sostanzioso e ?disturbing? e così in effetti è stato. Le nove composizioni, registrate presso il suo nuovo studio isolato nella campagna nel nord del Galles, sono monolitiche nel senso più esteso che tale termine possa assumere, razionalmente claustrofobiche, minacciose e opprimenti in modo persino fisico, dense di suoni portati alla saturazione e impregnate di una tale oscurità da far rabbrividire. E questo è quanto il disco riesce a trasmettere per tutta la durata, senza mai volutamente cedere di un millimetro, senza pentimenti e riuscendo a non ripetersi in nessuna delle tracce. Justin K Broadrick, ogni volta che concepisce un?opera (per quanto esse possano e possano essere state differenti tra di loro nel corso della carriera) sa perfettamente dove vuole arrivare e quando sceglie una direzione ha sempre i mezzi compositivi e la capacità creativa per raggiungere l?obiettivo ultimo senza indugio alcuno. Nel caso di ?Posthuman? tutto ciò si traduce in un sound che attinge da industrial metal, elettronica malevola e dinamica (si presti ad esempio orecchio alle inaspettate accelerazioni sintetiche della title track), illbient stratificato, drill?n?bass rallentato, drone trasfigurato, dubstep disumanizzato e mettendoci dentro quel sapere mostruoso accumulato nell?esperienza fondamentale (sia chiaro per tutti) citata prima: Techno Animal. Su questi livelli è inarrivabile per chiunque.