Giunti al primo lavoro su lunga distanza con un ep ed un singolo alle spalle i liguri perdono una buona occasione per mostrare le loro qualità e, sebbene un passo falso sia concesso a tutti, dispiace vedere come una band così giovane non riesca a liberarsi delle proprie influenze e finisca per prendere in prestito elementi da formazioni affermate senza un filo logico. L'eco dei Rhapsody e delle icone power metal tedesche che tutti conosciamo si percepisce per tutta la durata dell'album, prodotto da Tommy Talamanca, e questo svilisce buona parte della sezione strumentale che avrebbe meritato soluzioni più personali. Un tempo sarebbe stato accettabile ma adesso che il mercato è oberato di uscite di ogni tipo il rischio è quello di essere etichettati negativamente e non sapere più emergere. Alcuni passaggi denotano una cura negli arrangiamenti che in futuro potrebbe portare a risultati migliori però la componente orchestrale è inserita in maniera forzata – apprezzabile comunque la scelta di utilizzare musicisti veri e non software da studio - e quando i ritmi calano la noia diventa protagonista con Daniele Barbarossa che tenta invano di trasmettere energia e calore. Si salvano 'Son Of Winter', soprattutto grazie alla presenza del soprano Silvia Traverso, e 'Panserbjørne'.