I Protomartyr vengono da Detroit, città principale del Michigan celebre per il rap, la violenza e le fabbriche. Fin dalla spettrale copertina del loro terzo album si capisce che la band guarda al passato e ricerca nei valori delle vecchie generazioni qualcosa che attualmente non possediamo più. Rispetto a 'No Passion All Technique' e 'Under Color Of Official Right' possiamo dire che i quattro hanno trovato un suono personale pur rimanendo in territori derivativi. Il lavoro al basso di Scott Davidson è impressionante e dalle sue linee, spesse e ridondanti, così come dai fraseggi di chitarra di Greg Ahee nascono improvvise deflagrazioni post punk con Joe Casey pronto a cesellare il tutto con la sua voce cupa e Alex Leonard che non molla mai la presa dietro le pelli. 'Why Do They Shake?' e 'Deep Cloud' hanno contribuito a creare il giusto buzz attorno alla release e adesso questi novelli Wire, The Fall o Joy Division possono ambire a risultati importanti. Gli arrangiamenti sono spogli e diretti come quelli dei Cold Cave, alcuni pezzi come ' I Forgive You' sono sorretti da motivi feroci ed altri preferiscono mostrare un romanticismo funebre che bene si addice alla società decadente di oggi. Per chi scrive le gemme sono le rallentate 'Pontiac 97' e 'Ellen' dove i Protomartyr si elevano a livelli di espressività e urgenza impossibili da trascurare.