Posso affermare senza timore di smentita di essere cresciuto con la musica degli americani che ho apprezzato prima come band devota alla NWOBHM e poi come vera e propria istituzione del prog metal. Ci sarà sempre qualcuno che preferirà Crimson Glory o Dream Theater ma non ci sono dubbi sull'importanza che hanno avuto dischi come 'Parallels', 'Perfect Simmetry' e 'A Pleasant Shade Of Gray' nell'evoluzione del genere e nel suo consolidarsi dal punto di vista economico. Questo perché ad un certo punto, all'incirca a metà anni novanta, le migliori formazioni prog hanno cominciato a comprendere che la loro proposta poteva ottenere un riscontro allargato. Rispetto ad altri colleghi però i Fates Warning non si sono mai concessi troppo alla stampa, non sono scesi a compromessi e hanno sempre dato preferenza a concept e arrangiamenti elaborati piuttosto che a disegni melodici di ampio respiro. Nonostante il lungo periodo di silenzio che ne aveva preceduto l’uscita, ‘Darkness In A Different Light’ era stato accolto in maniera tutto sommato tiepida dalla comunità prog internazionale, forse spaventata da un profilo eccessivamente moderno oppure rassegnata all’epilogo di una carriera invidiabile. In realtà il problema più grande dell'album era una produzione impersonale e per questo stavolta è stato scelto di fare mixare le canzoni a Jens Bogren. Una scelta determinante che va ad integrarsi con il songwriting adulto di Jim Matheos e Ray Alder. Il chitarrista ha diluito le tinte melodiche e puntato su trame strumentali ancora più tecniche rispetto al passato mentre il cantante sembra volere ricerca un'immediatezza maggiore di un tempo. ‘From The Rooftops’ e ‘The Ghosts Of Home’ i pezzi che più degli altri valgono il paragone con i classici. Nel primo un verso memorabile ovvero “There's anything that time can't end”. Nulla è eterno signori perciò godetevi l'arte e la vita.