Una giornata speciale quella trascorsa in centro a Firenze, tra i locali della Contempo Records, in via dei Neri, e lo Spazio Alfieri che ha ospitato la conferenza stampa di presentazione di “Nulla È Andato Perso” ma soprattutto lo straordinario concerto che ha visto protagonisti, oltre a Gianni Maroccolo, Antonio Aiazzi (Litfiba), Simone Filippi (Ustmamò), Beppe Brotto e Andrea Chimenti. Una giornata speciale, dicevo, e non solo perché il musicista e produttore che ha legato la sua fama a Litfiba, CCCP, CSI e Marlene Kuntz, si è separato per sempre dal basso di tante esibizioni e registrazioni in studio. Come accaduto in occasione della ristampa di “A.C.A.U.”, sempre a cura della Contempo, e l'intervista ripresa nella storica cantina di via de' Bardi, Maroccolo si è fatto prendere dall'emozione e ha accompagnato i presenti in un meraviglioso viaggio musicale e umano, laddove incomprensioni e scelte difficili hanno acceso il racconto, dagli albori degli anni ottanta ad oggi. Una narrazione in cui la parola “scintilla” è comparsa a più riprese e che ha voluto sottolineare come ogni singolo aspetto inerente la pubblicazione di questo live sia stato curato in maniera maniacale. “Nulla È Andato Perso”, disponibile in doppio cd e triplo vinile con annesso sette pollici per trecento copie limitate, celebra un progetto coraggioso e scevro da compromessi con cui Maroccolo ha festeggiato trent'anni di attività insieme ad alcuni dei suoi più grandi amici. “Molti artisti avrebbero inventato uno spettacolo autocelebrativo, ma non Gianni: il concerto è un racconto d'incontri in cui la musica, pur predominante e possente, è diventata il collante di percorsi artistici e di vita magicamente interconnessi. Il tour ha ruotato attorno alle canzoni di “vdb23/Nulla È Andato Perso”, scritto insieme a Claudio Rocchi, e forse in questa versione live, grezza e priva di overdub, si è perso un po' di quella sorpresa che in tanti hanno provato vedendo scorrere tutti quegli ospiti. L'avere scelto una sola formazione ha allo stesso tempo reso le tracce più coese, anche quelle prese in prestito da altri, rendendo ancora più epico l'omaggio allo scomparso co-autore e spingendo Chimenti, in forma smagliante, e Aiazzi, sempre in disparte ma estremamente incisivo nei tessuti armonici, a dare il massimo. Il fonico Vladimir Jagodic è stato messo a dura prova, complesso infatti bilanciare i suoni talvolta mistici e talvolta zeppeliniani di Brotto con synth e ritmiche di elevata fattura tecnica, ma il risultato è a dir poco strabiliante ed i presenti allo Spazio Alfieri ne hanno avuto una prova impossibile da scordare.
Quanta Firenze c’è dentro a questo disco?
“Il disco contiene pezzi che omaggiano più di trent’anni di musica. Firenze è stata la città che ha dato la scintilla a tutto. Sono toscano anche se sono cresciuto in Sardegna per motivi di lavoro di mio padre che era carabiniere. Quanto sono tornato a Firenze ero un po' spaesato e la musica mi ha salvato. Ho iniziato ad ascoltare dischi e girare le cantine per trovare musicisti. In realtà non ne trovavo molti perché si trattava di un momento di transizione dal prog e dalla musica impegnata a qualcosa di ancora indefinito poi ho conosciuto Antonio Aiazzi e da quel momento ho cominciato a vivere la città e godermela. Per varie casualità ci siamo ritrovati nella cantina di via dè Bardi e sono nati i Litfiba. Il disco è tutto basato sul mio vissuto fiorentino.”
Guardando il vostro celebre “Live a Tolosa” su YouTube noto uno stupore che forse oggi è impossibile rivedere..
“Credo si abbia a che fare con la circolarità del tempo. Si sta passando da un periodo storico preciso ad un’altra tipologia di dimensione. Quello che c’è successo negli anni ma, allo stesso modo, anche ciò che è accaduto ai CSI è quasi inspiegabile. C’erano delle avanguardie che avevano bisogno di luce e ci siamo ritrovati in quel momento al posto giusto. Sono certo che accadrà ancora in futuro. Poi è chiaro che non si inventa più niente. Le note sono dodici e l’evoluzione della tecnologia non potrà cambiarle. La musica di oggi è più melodica e strutturato sull’uso delle ritmiche più che sulle armonie ma, ripeto, siamo in un periodo di transizione e si tratta solo di attendere.”
In questo progetto c’è tanto di emotivo, emozionante e emozionale. Quanto c’è di razionale?
“La razionalità è alla fonte. In un certo periodo la razionalità mi ha portato a prendere delle scelte difficili. Ai tempi di ‘17 Re’ ho capito che volevo seguire soltanto lo stimolo creativo. Quando raggiungi un certo tipo di consapevolezza puoi “vomitare” e in seguito, razionalmente, sistemare il tutto. Se a livello emozionale non succede niente cestino il materiale composto e questo è stato uno dei principali motivi di tensione nei gruppi di cui ho fatto parte. Non mi bastava che i concerti andassero bene e la gente si divertisse. Ho sempre avuto timore di sedermi sulle piccole conquiste, non mi sono mai interessati i numeri oppure il feedback immediato del pubblico. Siamo stati primi in classifica con i CSI di ‘Tabula Rasa Elettrificata’ e ricordo di averci riso sopra. Ci toccò rifare l’esperienza dei palazzetti dello sport e per me fu essenziale ricreare con Giovanni Lindo Ferretti e gli altri la nostra dimensione emotiva. Fare vibrare le persone e non essere dei juke-box. ‘Nulla È Andato Perso” è al di fuori di ogni regola convenzionale e si basa tutto su quello. Per me è un vanto che non ci sia nessun overdub e sia il migliore bootleg possibile. Volevo documentare nel migliore modo possibile quel “gioco” che si era venuto a creare con i musicisti sul palco.”
Cosa pensi dell’attuale rivalsa del cantautorato?
“Ho un rapporto con la musica veramente aperto. Quando mi si parla di nuovo cantautorato ho delle difficoltà perché è una storia che ho già vissuto. Negli anni settanta provavo rigetto per certa musica. Sono cresciuto con la musica anglosassone poi con quella dei mondi e dei popoli ma non certo con quella d’autore. Era tutto ciò da cui volevo fuggire in quegli anni. Il fatto che adesso ci sia un movimento che prenda ispirazione da quelle cose rappresenta un limite per me. Credo comunque di riuscire a capire dove c’è talento. Per esempio il disco nuovo di Brunori Sas, che ho conosciuto con Stazioni Lunari di Francesco Magnelli, è bellissimo.”
È anche un problema legato alla voce..
“Almeno inizialmente per me la voce era solo uno strumento. Ricordo che massacravamo Piero Pelù perché suonavamo a volumi impossibili. Sentivo solo basso e rullante, forse un po' di tastiere sullo sfondo. Col passare del tempo ho iniziato ad ascoltare e ho cercato di capire la sua poetica. Poi mi è arrivata una mazzata da Giovanni Lindo Ferretti e in seguito ho collaborato con un altro artista come Cristiano Godano. Capisci bene che quando sei abituato a parole di un certo tipo è difficile cadere in fascinazione per qualcosa di diverso.”
Che rapporto hai col computer?
“Sono sempre stato affascinato dalla musica d’insieme. Ascoltavo Frank Zappa e frequentavo il conservatorio. Ho studiato tre anni contrabbasso proprio per potere seguire fonologia e musica elettronica. Il computer dà per assodato tutto ciò che si faceva ai tempi della manipolazione del suono e mi viene da ridere perché rappresenta una semplificazione assurda. In ogni caso mi permette di comporre.”
Hai detto che in questa pubblicazione non c’è solo musica..
“Dopo tutti questi anni è impensabile per me rimettere in piedi un gruppo come in passato. Devo accettare il fatto che sono un musicista e sono da solo. Non ho avuto il coraggio di affrontare subito il palco senza nessuno accanto e quindi ho invitato degli amici. In “Nulla È Andato Perso” non ci sono tutti semplicemente perché alcune registrazioni non sono venute bene. É comunque una fotografia di trent’anni di incontri, avvenuti e desiderati, con pezzi di artisti che mi hanno cambiato la vita.”
Hai attraversato da protagonista tutti questi anni di musica. C’è un progetto che sogni di portare a termine?
“Non produco da circa dieci anni e il bello è proprio non avere progetti. Quattro anni fa ho avuto un infarto ed è stata una delle esperienze più belle e psichedeliche della mia vita. Dopo quel periodo è arrivata la telefonata di Piero Pelù per il tour della Trilogia e quella di Massimo Zamboni per i Post-CSI. Tutto può succedere e la scintilla può scattare in qualsiasi momento. Devo confessare che adesso mi piacerebbe fare musica strumentale. Credo ce ne sia bisogno.”
Più volte hai usato il termine “scintilla” e tra l’altro ‘Scintilla” è un bellissimo pezzo dei Nosound in cui canta proprio Andrea Chimenti. Hai seguito interamente il processo creativo che c’è stato dietro a “Nulla È Andato Perso”?
“Assolutamente sì. Ascoltare ventitrè concerti e scegliere le versioni migliori è stato un lavoro immenso. Con Alessandro Nannucci della Contempo Records e Marco Olivotto ci siamo sentiti quotidianamente per realizzare un’opera che avesse un grande spessore e una dignità artistica. Ho dovuto mediare su alcune foto perché avrei voluto inserirne ancora di più ma l’artwork di Daniele Capecchi arricchisce una release coerente con quello che sono stati i concerti e la scintilla nata tra me e Claudio Rocchi.”
Un ringraziamento a Andrea Mannucci per le stupende fotografie.