-Core
Cleo T.
Francia
Pubblicato il 13/03/2017 da Lorenzo Becciani

Come sei passata da John Parish a Ed Rodion?
È stato un passaggio molto naturale e ha riguardato soprattutto la scrittura. Ho composto il materiale per il primo album in maniera rapida con il pianoforte e alcuni dei miei strumenti. In questo caso si è trattato più di creare universi, idee e paesaggi sonori. Non volevo essere limitata in alcun modo e quindi ho creato dei beat cantando alcune linee melodiche e lavorando poi a colori, orizzonti e spazi. Questo mi ha portato ad una produzione elettronica. Ho incontrato Ed Rodion in maniera piuttosto strana nel Sud della Francia e collaborare con lui mi ha permesso anche di mostrare in maniera differente strumenti come il violoncello.

Qual è la tua definizione di pop?
Non saprei veramente. Ascolto di tutto e trovo che definizioni come experimental pop, avant pop o electro pop abbiano poco senso. Mi piace “popoular” perché credo che la musica appartenga alle persone. In tal senso l’elettronica è perfetta per mostrare un nuovo tipo di approccio al mondo. Ritengo che sia una nuova forma di musica tradizionale e nell’album puoi trovare sia spunti moderni che influenze argentine o indiane. Per esempio in ‘Magic All Around’ ho collaborato con Tomàs Gubitsch e Prabhu Edouard.

Che rapporto hai con le macchine?
Non le tocco proprio. Sono affascinata dalle macchine ma sono una principiante. Valentin Mussou ha arrangiato insieme a me premendo qualche bottone e suonando il violoncello naturalmente.

Di recente ti sei trasferita a Berlino. Quali sono le differenze più grandi con Parigi?
Non ci sono quasi connessioni. La differenza più grande comunque è lo spazio. A Berlino c’è più libertà, più spazio per te stessa e per interagire con gli altri. É più economica e non sei costantemente circondato da arte quindi tutto quello che riesci a scoprire è inatteso. L’ambiente è essenziale per la musica e per il prossimo album voglio trasferirmi in Italia. Cerco la bellezza ovunque.

Sei entrata in contatto con alcuni artisti?
Prima di tutto con Elyas Khan dei Nervous Cabaret che è newyorkese ma vive a Berlino da circa dieci anni. Inoltre ho fatto amicizia con Maflohé Passedouet che mi ha aiutato nel creare alcuni aspetti della performance e creare una coreografia interattiva.

Spesso vieni paragonata ad artisti come Regina Spektor, Florence & The Machine e Nina Simone. Quali sono le tue vere influenze?
Non so rispondere perché cambiano continuamente. Nina Simone è unica ma in questo album c’è un po' di tutto. Anche Maria Callas. Stasera ho l’opportunità di suonare al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato e allestire la mia performance, introspettiva e decisamente dark, in un museo è davvero un sogno che si realizza. Non sono brava a suonare ma ho studiato i classici al National Theatre di Parigi. Per me era difficile accettare di recitare opere che non riflettevano me stessa al cento per cento ed è per questo che ho cercato altre forme di espressione. Amo la pittura anche se non so disegnare. Kasimir Malevitch e Frida Khalo sono due grandi influenze. Per il resto ascolto anche musica industriale e elettronica berlinese. Sono piuttosto eclettica.

Ti ritieni più un’artista, una musicista o una performer?
Una persona. Mi piace la ricerca. Quando mi esibisco entrano in gioco il mio corpo, la mia voce e la mia mente. Amo creare dei concept e stare sul palco.

Segui una formula precisa quando componi?
Scrivere comporta un sacco di lavoro. La magia accompagna quei momenti ma c’è bisogno di tanta pratica. É una sorta di cerimonia in cui devi mettere per forza del tuo. Ho avuto la fortuna di essere ospite tre settimane a Villa Medici a Roma ed è nata una bellissima connessione. Ho trascorso il tempo scrivendo, camminando e vedendo opere magnifiche. C’è molto di quel periodo nel nuovo album. A volte poi le cose nascono casualmente. Per esempio ‘Shine’ non doveva finire su ‘And Then I Saw A Million Skies Ahead’. Era nella mia mente da tempo ma mi sembrava troppo scontata. Fino all’ultimo giorno l’ho lasciata da parte poi ho deciso di buttarla giù.

A me personalmente piace molto ‘Stay!’ con quel feeling alla Daughter..
Anche a me piace molto. È una sorta di gospel personale, Ruddy Descieux e Serena Fisseau hanno svolto un eccellente lavoro.

Quali sono gli altri passaggi chiave dell’album a tuo parere?
Tengo parecchio a ‘Des Orages Au Fond Des Yeux’ che è l’unico pezzo davvero personale dell’album. Di solito scrivo in maniera sinestetica, proponendo strane immagini ma in questo caso ho raccontato molto di me. ‘I Must Remember (Le Chant Des Sirènes)’ è un pezzo davvero intenso che rilegge in maniera un po' schizofrenica il mito di Orfeo e Euridice.

Poi c’è ‘Amore Vai’. L’amore va, ma poi ritorna?
Sì, perché l’amore non si perde mai. Magari diventa qualcos’altro ma torna sempre. È dappertutto e si riaccende in maniera inaspettata.

Anche il tuo progetto parallelo parla di amore..
I Last Lovers Left Alive sono nati quando ho conosciuto un ragazzo che lavoro alla Warner Chapell di Berlino. Mi ha chiesto di scrivere la musica per un film e, insieme a Valentin, ho deciso di omaggiare i film francesi e italiani degli anni cinquanta secondo il mio stile.

Sul tuo account di Instagram ho notato un’immagine di David Bowie..
La sua morte mi ha colpito molto. David Bowie è una delle mie icone assolute. Un maestro, un grande performer, uno sperimentatore e soprattutto un creatore. Ha sempre cercato di cambiare le cose. ‘1. Outside’ è uno dei miei album preferiti.

Un ringraziamento speciale a Luisa Santacesaria ed al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato per l’accoglienza e la splendida location in cui si è potuta svolgere l’intervista.

Cleo T.
From Francia

Discography
Songs Of Gold & Shadow (2013)
And Then I Saw A Million Skies Ahead (2017)