Come è avvenuto il processo di lavorazione del vostro ultimo album "With Eyes Wide Open"?
Il terzo album, credo per la maggior parte delle band, rappresenta la vera prova del fuoco. Volevamo arrivare in fondo ai lavori convinti al cento per cento di quanto fatto. Abbiamo iniziato a lavorare sui nuovi brani subito dopo la pubblicazione dell’album precedente, coinvolgendo Marco Baruffetti molto di più rispetto a quanto fatto in passato. Gli stessi Alessandro e Gigi sono stati determinanti sia in fase di composizione che di esecuzione. Terminata la stesura delle song abbiamo ingaggiato Marco Barusso in qualità di produttore artistico. Con lui abbiamo passato quasi 6 mesi per rivedere il tutto e portare le song semplicemente ad un altro livello. Le successive registrazioni si sono svolte presso i BRX Studio di Marco Barusso e il mastering è stato curato da Marco D’Agostino dei 96Khx studio. Il tutto ha richiesto circa due anni di lavoro.
Che differenze ci sono con il predecessore "The Defeaning Silence"?
Sono davvero tante. Prima di tutto, come dicevo poco fa, Marco Baruffetti ha finalmente portato il suo enorme contributo in fase di scrittura. Il suo stile, più vicino a sonorità proprie del rock americano è stato miscelato con la matrice più heavy/prog che ci ha contraddistinto nei primi due lavori. L’intervento di una figura esterna ha poi permesso alla band di non essere giudice di sè stessa. Poter contare sull’analisi di una persona esterna, per altro del calibro di Marco Barusso, ha contato davvero molto. Non posso dirti se il nuovo lavoro sia migliore o peggiore. Il nostro pubblico sentenzierà in tal senso. Di sicuro posso dirti che questo album ci racconta davvero al cento per cento e che la direzione musicale da seguire per eventuali album futuri è stata tracciata.
In Italia il vostro tipo di sound non è molto diffuso, nel senso che sono poche le band che hanno un'attitudine alla Alter Bridge. Vi siete chiesti il motivo?
Onestamente no. Credo che le radici musicale europee, non solo italiane, non affondino nella matrice blues che caratterizza molta della produzione americana. Da qui credo sia naturale che la maggior parte delle band del vecchio continente non possano contare sull’attitudine a cui tu ti riferisci. Noi amiamo il blues ed il southern rock. Come amiamo il rock di più classica matrice europea. Il questi questi elementi, miscelati in maniera più o meno importante, ci caratterizza sin dagli inizi. Con il nuovo album volevato trovare il nostro punto di equilibrio. Quello che sentiamo più nostro, ad oggi.
Magari l'uso della lingua italiana potrebbe essere un qualcosa a cui pensare in futuro?
Dovremmo provare, ma credimi, non è facile. Non ci sono preclusioni particolari in tal senso, ma credo avrebbe senso dove dovessimo firmare un eventuale contratto con una major italiana, puntando tutto sul mercato interno. Stiamo cercando di “internazionalizzare” la band, e l’inglese ci sembra la lingua più adatta in tal senso.
Un ruolo rilevante è la produzione di Marco Barusso che ha dato un senso di internazionalità a tutto l'insieme. Come è stato lavorare con lui?
Semplicemente fantastico. Mettersi in discussione regolarmente, nella vita come nella musica, è fondamentale dove non si voglia interrompere il percorso di crescita. Marco è veramente un professionista di prim’ordine. Ha una cultura musicale infinita, un tecnico del suono davvero incredibile. E’ stato in grado di accompagnarci per mano verso un risultato finale che non avremmo saputo raggiungere da soli.
Parlando del presente, credete che fare uscire un disco in questo momento sia stata una scelta giusta, visto che molti artisti hanno rinviato tutto al prossimo anno sperando in tempi migliori?
Purtroppo non dipende solo da noi. Una volta firmato il contratto i tempi li detta, come ovvio, l’etichetta. D’altronde non potevamo nè volevamo attendere ancora. Sono passati ormai quattro anni da 'The Deafening Silence' e volevamo tornare. Alla fine prevedere il futuro non è possibile, ed onestamente, in un periodo così complesso, sono stato felice di ascoltare nuova musica. Il nuovo Katatonia, il nuovo Fates Warning, sono state vere e proprie boccate di ossigeno. Il ruolo della musica è anche e soprattutto questo: saper intrattenere e divertire. Alla fine sono contento della scelta fatta. Sperando, seppur cosciente di essere una goccia nel mare magnum di artisti che popolano la scena, di aver dato il nostro contributo per strappare un momento di serenità e gioia a chi ci ha scelto, dimenticandosi anche solo per poco del terribile quotidiano che stiamo vivendo.
Come state vivendo tutto questo momento che per gli artisti, probabilmente, è ancora più frustrante visto quello che sta succedendo?
Difficile da realizzare e difficile capire cosa succederà. Siamo troppo coinvolti emotivamente per rispondere lucidamente alla tua domanda. Diciamo che preferiamo chiudere gli occhi, andare avanti come se nulla fosse e sperare di riaprili su un palco. Di fronte, finalmente, ad un pubblico in carne ed ossa.
Per l'attività live, ora che è tutto bloccato, avete qualcosa all'orizzonte già programmato, oppure attendete gli eventi?
Attendiamo gli eventi. Onestamente non credo ci sia molto altro da fare. Non è possibile pianificare nulla. E’ difficile, se non impossibile, per artisti affermati, figurati per band poco conosciute come la nostra.
Ritornando all'album, sembra che le recensioni siano tutte entusiastiche. Quanto vi dà forza sapere che avete la stima di tanti addetti ai lavori in un momento come questo?
Non ti nascondo che ricevere consensi era il vero obiettivo da raggiungere. Facciamo muisca con e per passione. Non è un segreto che il mercato discografico non possa più supportare a dovere le band dal punto di vista economico. I live, per ovvie ragioni, sono lontani anni luce. Come ti dicevo la volontà di pubblicare questo nuovo lavoro in tempi così difficili è frutto di una scelta consapevole. Sperando di regalare qualche minuto di piacere e serenità ai nostri ascoltatori. L’esserci riusciti, a quanto sembra, ci appaga davvero moltissimo.
Un brano come 'All Of My Life' ha tutto per poter vendere ed essere passato nelle radio di ogni paese. E come questa canzone ci sono tante altre, tipo 'Starlight' che hanno tutto per poter sfondare ed avere un richiamo radiofonico e televisivo importante. E' stata una scelta mirata quella di avere pezzi più di impatto?
Sì, certamente. Alla fine credo che la canzone venga prima dell’arrangiamento. Un buon brano deve funzionare con una chitarra ed una voce. Il genere che proponiamo deve riuscire ad arrivare immediatamente senza però stancare dopo un paio di ascolti. Non è un lavoro facile, tutt’altro. Speriamo davvero di esserci riusciti.
Alla fine di questa intervista, che bilancio volete fare sulla vostra attività all'interno degli A Perfect Day? Siete soddisfatti o pensate che qualcosa poteva essere fatta in maniera migliore?
Si può sempre migliorare. E non è una frase fatta. Credo che la band abbia intrapreso la strada giusta. Probabilmente non siamo ancora arrivati ad avere una nostra identità, o almeno non definitiva. Lo è ad oggi, ma il percorso da fare è ancora lungo. C’è ancora tanto da imparare, da comprendere. Non facciamo musica a tavolino. Comunque tutte le nostre canzoni nascono in maniera totalmente spontanea. Lavorarle con intelligenza musicale, fare fruttare le idee facendole rendere al meglio diventa poi un piacevole obbligo. Forse a questo album manca ancora un pò di coerenza. Ma alla fine, credo sia anche uno dei punti a suo favore. Forse è proprio su questo ultimo punto che ci concentreremo.
(parole di Andrea Cantarelli)