Qual è il concept di 'Ghost Tapes #10'?
'Ghost Tapes #10' non è stato scritto su un evento specifico ma è piu' una riflessione sugli ultimi due anni, che sono stati senza precedenti per noi. L'ultima volta che ci siamo esibiti dal vivo è stata diciassette mesi fa ed il tour dei quindici anni di 'All Is Violent' è stato annullato a causa della pandemia. È stato molto frustrante anche perché non ci eravamo tenuti troppo occupati con le date dal vivo nell'anno precedente. Il tour scandinavo era stato cancellato in aprile e quello americano ci stava costando un sacco di soldi. È stato normale tornare a casa e scrivere materiale ricco di tensione e molto intenso. 'Burial' è stato il primo pezzo che abbiamo scritto per l'album, con rimandi a 'Epitaph', che era stato scritto in memoria del nostro cugino di sette anni 'Oisin'. 'Burial' va considerata come la transizione tra i due album. A parte 'Adrift', che risale allo scorso febbraio, molti pezzi sono stati scritti prima della pandemia. Quindi possiamo dire 'Adrift' riflette in un certo senso quello che stava succedendo nel mondo, mentre 'In Flux', che risale al mese successivo, è il riflesso di una frustrazione vera e propria.
Perché avete scelto un titolo del genere? Sembra il titolo di un mixtape o di un remix album?
Il nome deriva dalla campagna di propaganda americana “Operation Wandering Soul” dove forze militari usavano suoni e voci alterate facendo credere che fossero vietnamiti uccisi, in maniera da instillare paura e confusione nella gente. Quel tape fu denominato #10 e venne riprodotto dagli altoparlanti delle basi americane e dagli elicotteri. Essendo il nostro decimo album abbiamo pensato che si addicesse alla tensione dei pezzi. C'è un certo disagio nella musica.
Dove avete registrato il materiale? Che suono volevate ottenere stavolta?
Abbiamo registrato tutto questo nel nostro studio. Abbiamo provato i pezzi per circa due mesi prima di registrarlo, cosa che non avevamo mai fatto in passato. Prima scrivevamo e registravamo allo stesso tempo. Le prove hanno portato tanti benefici e abbiamo apportato diversi cambiamenti nel songwriting, negli arrangiamenti e nei tempi. Avendo tanti mesi liberi, abbiamo avuto l'opportunità di fare un passo indietro e sperimentare con amplificatori e pedali, immaginando da capo il nostro suono. Ciò ha reso il nuovo album piu' crudo e vibrante. Quando è venuto il momento di registrare, abbiamo cercato di catturare il suono live della band, senza overdub. C’è voluta una settimana e ognuno ha registrato le sue parti. Jamie ha suonato tutte le sue linee e ha naturalmente aggiunto carattere. L’album cattura la performance della band in tutta la sua essenza.
Trovi che le tecniche di produzione e mixaggio si siano evolute in una buona direzione per le band post-rock?
Posso dirti che il suono di ‘Ghost Tapes #10’ è il migliore che abbiamo mai avuto e anche quello più live. Il segreto è stato restare fedeli alla performance e non esagerare con il mixaggio, evitando quindi che l’album suonasse troppo pulito e blando. Quando masterizziamo cerchiamo di evitare il muro di suono in favore di un sound più bilanciato e dinamico.
Che chitarre e synth avete suonato in studio?
Principalmente ho usato una Gretsch Penguin e una Fender Stratocaster con testate Orange. Jamie ha usato una Fender US JazzMaster, sempre su testate Orange. Come synth analogici abbiamo suonato un Sequential OB-6 Module, un Dave Smith Prophet ‘08, un Roland Jupiter 6 ed il Roland Juno 160. Le parti di piano sono state registrate con un Yamaha SU131 mentre Niels ha suonato un Short-Scale Mustang invece del solito basso.
Siete una band assolutamente unica. Nessuno suona come voi. Quanto è difficile concepire nuovi album e produrre nuova musica ed allo stesso tempo mantenere questi standard?
Ci sforziamo di non ripeterci. Può essere molto difficile mantenersi freschi e rimanere fedeli alla propria identità. Con ‘Ghost Tapes #10’ abbiamo seguito la stessa visione fin dall’inizio e sapevamo che sarebbe stato un album con più uptempo. Niels aveva scritto alcune linee di basso potenti e distorte influenzate dal punk che sono diventate un punto di partenza per alcune delle canzoni. L’obiettivo era realizzare arrangiamenti unici, con colpi di scena in grado di mantenere elevato il livello di attenzione dell’ascoltatore.
‘Adrift’ e ‘Burial’ sono spettacolari. Puoi darci qualche dettaglio in più su questi due singoli?
‘Adrift’ è nata a gennaio dello scorso anno e ha rappresentato un’eccellente introduzione all’album. In generale non siamo abituati a intro lente ed atmosferiche e ci piaceva l’idea di queste parti di batteria all’inizio di ‘Ghost Tapes #10’. E’ un sette/quarti a cui Lloyd lavorava da tempo. Niels ha aggiunto una linea di basso al limite del punk, che poi è diventata una sorta di marchio per l’intera scaletta. Le chitarre sono molto crude e giocano un ruolo determinante nella creazione del sound globale. L’arragiamento è imprevedibile, trasmette ansia e tensione, e anche il movimento è importante. La seconda parte del pezzo è decisamente più riflessiva ed il piano è stupendo. ‘Burial’ è stato il primo pezzo che abbiamo composto per ‘Ghost Tapes #10’ e quindi ci è parso normale pubblicarlo come primo singolo. L’inizio è molto arioso e le dissonanze delle chitarre rendono l’atmosfera carica di tensione. La mia parte preferita è quando entra il basso distorto e si aggiunge ad una linea di pianoforte ed al riff. A questa interessante sezione poliritmica si somma anche un loop di synth in tre/quarti ed il finale è furioso. È come una grande liberazione, un desiderio travolgente di ridurre il peso della perdita.
Quali sono le altre tracce chiave a tuo parere?
Per me assolutamente ‘Fade’, la nostra traccia più veloce che viaggia a 210 bpm con un tempo in dieci/ottavi che si trasforma in dodici/ottavi con basso furioso e ricco di fuzz ed un groove di batteria molto veloce. É un pezzo molto intenso e ipnotico, un mix di elettronica, noise e melodia, che segna un’evoluzione notevole rispetto a ciò che avevamo pubblicato in passato. Per il momento la traccia preferita dai fan è inevece ‘Barren Trees’. Il testo è ispirato al poema ‘Stopping By Woods On A Snowy Evening’ di Robert Frost: “Fade to darkness, frozen ground, leaves fallen, barren trees, snowy twilight, cold moon rising, creaking branches, moving shadows, where the spectres of winter are rising.”
Avete pubblicato gli ultimi due album per Napalm Records, un’etichetta che tratta principalmente metal e hard rock. Pensi che la vostra audience sia vicina a questo mondo o magari potreste raggiungere più persone in altri scenari?
Magari non è totalmente compatibile ma credo che la nostra musica venga capita dai fan di hard rock e metal più aperti di mente, che apprezzano le melodie e suono diversi. Dal vivo abbiamo un bel tiro e siamo intricati come tanti gruppi metal. Per sopravvivere dobbiamo allargare il nostro pubblico al di fuori del nostro sottogenere; il mercato alternativo indie non è mai stato di grande supporto ma, per esempio, tutti i grandi festival che abbiamo suonato erano festival metal e la nostra musica ha sempre funzionato bene in quell'ambiente.
Qual è il significato dietro alla copertina? L'aereo sta cadendo oppure sta ripartendo dalle macerie di un incidente?
Per me è come se fosse al principio di una distruzione. David Rooney, un nostro amico illustratore, si è occupato dell'artwork. Gli ho fatto ascoltare alcuni demo del nuovo album e gli hanno ricordato un sogno ricorrente di un aeroplano che precipitava dal cielo o addirittura che rimaneva sorpeso, senza mai schiantarsi sul suolo ma costantemente sul punto di disintegrarsi. Vi invito ad ammirare il suo sito: www.davidrooney.com
Quali sono gli album post-rock che ti sono piaciuti di più di recente?
Devo confessare che non ho ascoltato troppa musica in questo periodo, ma mi sono piaciuti i dischi di Holy Fawn e The Sun Burns Bright.
Non ho mai considerato i God Is An Astronaut solo una band ma molto di piu. Quali altre forme di arte vi piacerebbe toccare o coprire con la vostra proposta?
La nostra musica è modellata sugli eventi che sperimentiamo nelle nostre vite. Per noi, scrivere e suonare musica è una esperienza catartica. È il nostro modo di esprimerci. La musica strumentale a volte può trasmettere emozioni forti, anche quando le parole falliscono.
(parole di Torsten Kinsella)