Complimenti di cuore e grazie per il tempo che mi hai concesso.
Figurati è sempre bello parlare con te.
Raccontaci come è nato ‘Of Darkness And Light’.
É stato tutto molto intenso. Eravamo io, Karin e Alain. Noi tre insieme per un mese intero. Thomas è venuto a trovarci due giorni per registrare le parti di batteria. Per il resto è stato tutto molto veloce e devo ammettere che ho provato delle sensazioni uniche. Per la prima volta Karin ha fatto parte integrante del processo, mentre in passato aveva contribuito ma da un punto di vista più distante. Dopo aver registrato le tracce base siamo stati raggiunti da Alain, che è sul serio uno dei produttori più grandi con cui abbia mai lavorato. Non è un caso che Dave Grohl o Josh Homme ne parli così bene.
Quanto è importante il luogo dove registri la tua musica?
È molto importante. Stavolta lo abbiamo registrato in un posto speciale ovvero una chiesa del paese svedese in cui è nata Karin e in cui viviamo da qualche tempo. É un paese protestante e luterano che ha subito un pauroso incendio ed è stato ricostruito. Per certi versi è più simile al profondo west americano che ai tipici paesaggi scandinavi e l’acustica nella chiesa, costruita centocinquanta anni fa, è incredibile. Siamo stati molto fortunati e le altre trecento persone che vivono nel paese non si sono quasi accorti che stavamo registrando un album. Aver lavorato in passato con Steve Albini mi ha ispirato su come assemblare uno studio. Ho rubato qualche trucco per batteria e chitarre dai suoi studi di Chicago, poi Karin in questi anni ha imparato parecchie cose per i suoi lavori solisti. É brava con synth e computer e ha un approccio leggermente diverso dal nostro. Siamo entrambi amanti dell’analogico e in passato avevamo registrato anche su nastro, ma poi c’era stato qualche problema nel sovraincidere. Così abbiamo capito che a volte anche il digitale ha i suoi vantaggi.
Cosa volevate cambiare dopo ‘Norwegian Gothic’ in termini di produzione e mixaggio?
Volevo celebrare la vita. Quando la pandemia ci ha colpito, ho avuto finalmente tempo per pensare ad alcune cose. Durante la pausa è stato subito abbastanza chiaro che stavamo mirando a questo tipo di suono. Volevamo che fosse più distinto e quindi anche il songwriting è diventato più essenziale. Avevo una lista di produttori con cui avrei voluto collaborare e quando ci siamo accordati con Alain ho capito che sarebbe diventato un grande album. È sicuramente più incentrato sulle percussioni rispetto al passato ed è sufficiente ascoltare ‘We Want Blood’ per rendersene conto. Alcune canzoni, come per esempio ‘Skeletons Trip The Light Fantastic’, sono più vecchie e ho aspettato a registrarle perché avevo bisogno di trovare il circuito giusto dove farle muovere.
I miei pezzi preferiti sono senza subbio ‘You Cast Long Shadows’ e ‘Cathedral Light’.
Sono felice di sentirtelo dire. Sono molto legato ad entrambi e credo che un pezzo come ‘Cathedral Light’ dica parecchio di come suonano gli Årabrot adesso. ‘Hangman’s House’ è un altro pezzo chiave del disco e l’ho inserito all’inizio perché rappresenta una specie di collante dell’intero materiale.
Se cerco gli Årabrot su internet vi trovo associati a noise rock, post-punk, sludge e addirittura doom metal.
Per me non ha senso tutto questo, ma è dovuto al fatto che la nostra celebrità è nata in occasione della vittoria del Grammy con ‘Solar Anus’. Eravamo stati inseriti nella categoria metal e così sono nate certe definizioni. Per me è rock n’ roll, è garage, un po’ jazz e anche un po’ metal.
Quanto è importante per te fare emergere che sei norvegese?
É molto importante. Quando mi trovo in posti diversi percepisco una visione diversa. Sono cresciuto vicino ai fiordi e al Mare del Nord e li sento anche quando sono in Svezia o in qualche altra nazione. Non riesco a liberarmi da quella visione. Dieci anni fa mi sono ammalato gravemente e sono quasi morto. Ne sono uscito e quindi è come se avessi avuto una seconda possibilità. Per questo cerco di vivere alla grande e fare in modo che questioni personali non mi trascinino nel fango. Mi sento più forte di prima e ‘Cathedral Light’ è un pezzo che parla del processo che ho seguito per uscire da certe problematiche. ‘Of Darkness And Light’ è un album terapeutico, sia per me che per Karin.
Come ti trovi con Pelagic?
Devo dire molto bene. Siamo in costante contatto per il tour in questo momento. Faremo un paio di date in Italia e spero di incontrarti di persona. Suoneranno anche Karin in versione solista e Jaye Jayle, un altro artista dell’etichetta.
Alla fine dell’intervista ti faccio scegliere tra tre dischi. Il primo è l’ultimo lavoro di Me And That Men, il progetto parallelo di Nergal dei Behemoth, il secondo è ‘Villains’ dei Queens Of The Age ed il terzo ‘Total’ dei Seigmen. Quale scegli?
Non ho dubbi! ‘Total’ dei Seigmen! Non conosco il disco di Me And That Men e ‘Villains’ non è il mio disco preferito dei Queens Of The Stone Age. Invece i Seigmen sono stati una band fondamentale in Norvegia. Mi fanno pensare agli anni novanta.
(parole di Kjetil Nernes)