La magnificenza delle immagini di "Cremaster", ambizioso progetto cinematografico del marito Matthew Barney, hanno permesso a Bjork di tuffarsi ancora di più nell"oceano di simboli ancestrali e arcane sperimentazioni sonore che con "Medulla" avevano già cominciato a farsi largo. Cinque film lisergici alla ricerca di una fenomenologia nuova e avvincente che descriva compiutamente i continui scontri tra modernità e radici pagane ("Ambergris March"). Suoni che si fanno sempre più puri e incontaminati col passare di secondi lenti e pesanti come macigni nell"armonia generale di una proposta che non vuole saperne di subire alcun condizionamento fisico, temporale e artistico. La voce della cantante islandese si immola sagace sulle impervie transazioni tra elettronica e suoni terreni. Cerebralità talmente diffusa da incanalare l"ascolto verso un distacco deciso e pragmatico da tutto quello che è realtà oggettiva e, direbbe Bjork, alquanto banale. L"ossessività con cui certe tracce come "Cetacea" portano avanti la loro inusuale forma espressiva colpisce per la capacità innata dell"artista di dipingere affreschi di rara bellezza con l"ingenuità di chi gode di un talento impensabile e si trova ancora ai primi tratti. Gemme come "Bath" e "Gratitude" cantata da Will Oldham sono da leggenda.