Il terzo album è sempre quello della svolta ma Justin Vernon ha già svoltato da parecchio e la più grande dimostrazione del suo talento è il fatto che sia emerso in uno scenario alquanto instabile e povero culturalmente come quello indie americano. A due anni di distanza da ‘Bon Iver, Bon Iver’ e anticipato dall’uscita di ‘Heavenly Father’ nella colonna sonora di ‘Wish I Was Here’ di Zach Braff, ‘22, A Million’ è in assoluto l’album più vario e coraggioso di questo artista che, partendo da coordinate folk, riesce a muoversi con destrezza nel panorama elettronico moderno. Gli arrangiamenti sono epici, la narrazione toccante e profonda e nel complesso si ha l’impressione che il progetto si stia spostando in una direzione più live oriented e scenografica. Ciò non impedisce di imbattersi in almeno un paio di retaggi del passato (in una versione scarna ‘715 – CREEKS’ e ‘8 (circle)’ avrebbero potuto benissimo essere su ‘For Emma, Forever Ago’) e godere, tra titoli bizzarri e concessioni commerciali sparse con intelligenza, di un ambizioso flusso di coscienza audio-visivo (le immagini scorrono in testa non è necessario alcun fondale). Chiamatela pure folktronica, uno dei termini più orrendi che abbia mai sentito, ma a noi piacerà ugualmente.