Gianni Maroccolo non ha bisogno di presentazioni e chi conosce la sua infinita storia sa bene che è una persona a cui piace sorprendere. In questi ultimi anni, a differenza di molti altri colleghi illustri del suo tempo, sta vivendo una vera e propria seconda giovinezza. A testimonianza di ciò, ci sono ben due dischi immessi sul mercato a distanza di pochissimo tempo e che stanno riscuotendo un incredibile consenso da parte di critica e fan. Uno con Edda, dai contorni sensazionali, ed un altro, “Alone Vol. IV” che continua la saga dei lavori solo a suo nome. Senza girarci troppo intorno, c’è da dire che l’ex Litfiba è in un momento di ispirazione incredibile, un po’ come capita a quegli attaccanti che vedono la porta anche bendati. Maroccolo, che è un bomber di razza, appare, dai solchi di questo album, un uomo particolarmente sereno, a cui piace sognare e far viaggiare con la mente chi lo ascolta. Gli arpeggi della delicata “Gamma” sono materia per sognatori incalliti, mentre “T.S.O. X” è un viaggio potente dove l’elettronica si fonde al meglio con il suono granitico delle chitarre. “Sognando” vede ancora una volta la presenza dell’ex Ritmo Tribale Edda alla voce, uno di quei personaggi che in questi ultimi anni appare essere risorto dalle proprie ceneri. Si tratta, nel caso di specie, di una rivisitazione del celebre brano di Don Backy, con quest’ultimo che fa capolinea in una rilettura che si rivela una gemma preziosa, ma soprattutto originale per gli arrangiamenti sviluppati. Ci sono tanti ospiti in questo disco come Giorgio Canali dei CSI, Umberto Maria Giardini (Moltheni), Flavio Ferri dei Delta V, L’Aura, Matilde Benvenuti, Teho Teardo. Tutti insieme contribuiscono con il loro tocco ad elevare ancora di più un album in cui ogni cosa è suonata con classe e con grande gusto. Un esempio lampante riguarda “E Mentre Tu Giri”, traccia acustica e malinconica, su cui volutamente non è stato inserito il cantato, in modo da lasciare ancora più spazio all’immaginazione di una musica che sembra essere senza tempo e senza confini. “Echi”, invece, alterna momenti quasi silenziosi ad altri in cui si denota un’esplosione strumentale che porta ad un mutamento che passa dal buio alla luce in pochi attimi. Il problema, se mai ve ne fosse uno, è che la musica termina troppo presto. Sembra quasi che l’artista abbia deciso di stoppare volutamente il tutto, facendo intendere che questa sia semplicemente un’altra tappa di un viaggio che non conosce alcun tipo di sosta. Ad ogni modo, in questo turbinio di emozioni e contrasti, creati appositamente ad arte dal maestro Maroccolo, si chiude un altro capitolo di storia di un fuoriclasse della musica italiana contemporanea che continua a stupire come se avesse venti anni. Non è un caso che dove mette le mani lui, tutto si trasforma in arte. Un uomo trasversale, capace di coinvolgere chiunque gli capiti a tiro e di essere sulla cresta dell’onda dai primi anni ottanta, senza aver mai perso consensi nel corso di una carriera che non ha eguali in Italia.