Non sono sicuro che sia musica senza cuore, senz’anima, tutto budella e nessuna gloria. Così la presentano questi straordinari pionieri della musica elettronica che tornano nei negozi a distanza di un anno dal mini album ‘Der Doctor Schnabel Von Rom’, ma la loro proposta, per quanto glaciale e sinistra, possiede un’anima ed un battito selvaggio che la tiene in vita. Dicevamo che è trascorso un anno da singoli di una ferocia inaudita come ‘Australia Is Burning’ e ‘Ecocalypse’ e ne sono trascorsi otto dal capolavoro ‘And Shun The Cure They Most Desire’. In questo lasso di tempo i Pankow non hanno smesso di comporre e lavorare ma hanno comunque dovuto affrontare diverse problematiche, non ultima quella della sospensione dell’attività live a causa dell’emergenza sanitaria. Se ‘Der Doctor Schnabel Von Rom’ pareva ironizzare sulla possibile cura per i mali del mondo, ‘Never Trust A White Man’ rappresenta il proseguimento ideale del discorso interrotto con pezzi come ‘Crash And Burn’ e ‘Don’t Follow’ e, su questo sono d’accordo con il gruppo, parliamo di “musica per guerra di trincea, per campi di sterminio, per ritirate disorganizzate”. Si parte fortissimo con ‘Universal Kuntz’ – la citazione di Marta, Danton, Saint-Just e Robespierre traccia un’inevitabile paragone tra il “terrore” attuale e quello che dilagò all’epoca della Rivoluzione Francese - capace di regalare un’immersione nel passato eppure di rivolgere uno sguardo attento a ciò che l’avanguardia elettronica sta tentando di proporre in questo periodo tanto avaro di emozioni. Segue ‘Taking Over The Asylum’, in pieno stile Pankow con F M chirurgico come sempre, e poco dopo ci imbattiamo in ‘Minima Immoralia’, sorretta da un ritmo irresistibile. Grande la performance di Alex Spalck però c’è spazio anche per Bram DeClerq in una scaletta che non presenta cali di tensione e raggiunge altri apici in corrispondenza di ‘Blockupy’ e di ‘Der Leiermann (C230 version)’. “Musica di cui non ti puoi fidare.. fatta da persone di cui non ti puoi fidare…”. Può essere ma i Pankow sono tuttora quanto di meglio si possa ascoltare in uno scenario industriale la quale decadenza non era mai stata tanto aderente a ciò che sta accadendo nel mondo. Il pandemonio denunciato nella seconda traccia non è un riflesso distopico o la descrizione di un incubo ma vita reale e la marcia funebre di ‘Ataraxia’ riconduce, dopo buona parte del disco, al cinico stato confusionale di ‘Nowhere’. ‘Almost Cut My Dick’ propone un altro beat da brividi e richiama alla mente l’andamento barcollante e lesivo per la mente di ‘Me And My Ding Dong’, dall’acclamato ‘Gisela’, allorché ‘Damaged’ e ‘Dont’ Fall In Love With Death (C230 Remix)’ danno la misura di quanto si sia evoluto il pensiero dei fiorentini. Chiude ‘Dona Nobis Pacem’ e la solenne armonia che anticipa il silenzio è un monito a non guardarsi indietro e non accontentarsi dei peccati compiuti fino a questo punto dell’esistenza.