Prima di caricare questa recensione ho voluto ascoltare a fondo l’album, non solo perché non si tratta di una proposta facile ma perché volevo capire la capacità delle numerose tracce inserite in scaletta di durare nel tempo e rivelare di volta in volta nuove sfumature. Adesso posso affermare senza ombra di dubbio che siamo al cospetto del manifesto del djent di oggi e di un album che segna una svolta assoluta nel modo di intendere il metal moderno. La sfida a distanza con gli Humanity’s Last Breath, autori di due lavori in studio devastanti quali ‘Abyssal’ e ‘Välde’, è lanciata ed i dieci anni trascorsi dall’uscita dell’esordio ‘Måsstaden’ - seguito solo dal mini ‘Thousands Of Evils’ - non sono poi eccessivi considerata la quantità impressionante di stratificazioni sonore che il materiale in questione può vantare. Scordatevi i paragoni con Meshuggah e Tool perché i Vildhjarta dimostrano di possedere uno stile unico e la loro interpretazione dell’evoluzione più estrema e sincopata del progressive metal, supportata da una produzione micidiale, è davvero imprescindibile per chiunque desideri capire la direzione in cui si sta muovendo il genere. ‘Lavender Haze’, ‘När De Du Älskar Kommer Tillbaka Från De Döda’ e ‘Kaos 2’ sono alcuni degli episodi più letali ma è nell’impatto globale che gli svedesi, nonostante abbiano perso per strada Daniel Ädel e Johan Nyberg, dimostrano di possedere qualcosa in più rispetto alla concorrenza. Il drummin’ forsennato di Buster Odeholm persegue ritmiche irreali, le chitarre di Calle-Magnus Thomér e Daniel Bergström macinano riff su riff e Vilhelm Bladin, tra scream, growl e clean vocals, frusta l’ascoltatore e alimenta atmosfere da pellicole horror.