Premesso che preferivo le atmosfere di un tempo, il gruppo nato dalle ceneri dei Beastmilk conferma di possedere doti di scrittura fuori dall’ordinario descrivendo un mondo che è molto più reale che distopico. I ‘Plagueboys’ immaginati dagli autori di ‘Dreamcrash’ e ‘Motherblood’ sono dappertutto, nelle pubblicità e nella politica (‘High On Annihilation’), nel contesto lavorativo così come nei mezzi che prendiamo tutti i giorni per spostarci. Li incontriamo, li scansiamo, ne fuggiamo via per poi renderci conto che siamo esattamente come loro. Come dicevo all’inizio, mi trovavo più a mio agio con le ambientazioni oscure degli esordi ma non è che il pop anni ‘80 verniciato di post-punk di oggi non sia per questo decadente. Al contrario i Grave Pleasures hanno saputo evolvere il loro gusto melodico e la struttura dei loro brani senza smarrire la malvagità che li ha sempre contraddistinti. Mat “Kvohst” McNerney, (Code, Hexvessel) e Juho Vanhanen (Atomikylä) sono i trascinatori di un sound che pervade l’etere e condiziona le mosse seguenti di chi si trova nella stanza (‘Society Of Spectres’ e ‘Heart Like A Slaughterhouse’), un sound capace di evocare tanto i Bauhaus quanto i Virgin Prunes, addirittura David Bowie nella subdola ‘Lead Balloons’. La gemma in scaletta è ‘Disintegration Girl’, una canzone che decine e decine di formazioni post-punk vorrebbero scrivere fin dal principio della loro carriera. Ma non ci riusciranno mai..