Il mondo è incerto. Sempre più incerto. Ce lo ricorda il gruppo metalcore originario della Pennsylvania, che per il successore dell’acclamato ‘Only Self’ ha cercato di andare oltre alla trasposizione in studio delle caotiche performance dal vivo. Parte ‘In Constraints’ e subito ci si rende conto come gli arrangiamenti siano stati dilatati ed il mixaggio di Randy Lebouef (The Acacia Strain, Dying Wish) abbia messo ancora più in evidenza la voce di Aaron Heard. Era logico che fosse così, ma la maggiore varietà sonora non corrisponde affatto ad un decremento in termini di potenza e impatto. Ogni brano ha una sua dimensione deviata o sporca, un accenno di volgarità hardcore e una divagazione nella violenza più pura e la prova dietro le pelli di Luis Aponte è letteralmente disarmante. Impossibile stare fermi al cospetto di passaggi come ‘Tunnel Vision’ e ‘FTBS’, che in sede live costringeranno a stare lontani dalle transenne, anche se forse gli episodi che segnano un’evoluzione maggiore rispetto agli esordi sono ‘Gates Of Horn’, spettacolare il cantato, e ‘An Offering To The Night’, che precede l’assurda chiusura di ‘Stolen Life’ e ‘The Bond’. Un disco che ha un’anima crossover e che conferma i Jesus Piece, di cui vi avevamo parlato nel primo appuntamento di Nuove frontiere del metal, tra i gruppi più originali e letali della nuova ondata metalcore. Non mi stupirei se diventassero presto una priorità per Century Media perché hanno tutto per distinguersi in un panorama costellato da centinaia di formazioni tutte uguali tra loro.