La madre di tutti noi ci abbraccia, ci difende ma può essere anche molto pericolosa. Il gruppo metalcore di Chicago torna nei negozi con un disco ben bilanciato tra le invettive aggressive degli esordi e un sound che ben si combina con quello di altre release di successo di Sumerian Records. Sono trascorsi sei anni da ‘False Idol’ ed il guitar work di Marc Okubo in certi passaggi è davvero straripante, mi ha ricordato certe cose di Scott Carstairs negli ultimi full lenght dei Fallujah, con derive cinematiche (‘Disco Kill Party’) e sperimentali (‘Mother pt 4’) di notevole efficacia. Lukas Magvar sbercia nel microfono ed il groove è garantito per buona parte della scaletta, che raggiunge i suoi apici in corrispondenza di ‘Artificial Dose’ e ‘Red Fur’, che nel giro di qualche settimana troverete in tutte le maggiori playlist di settore. In definitiva ‘[m]other’ si distingue per un profilo estremamente moderno ed accattivante ma tende ad accontentare sia gli appassionati di djent sia chi li apprezzava di più quando erano prossimi al deathcore. In attesa di rivederli dal vivo, i Veil Of Maya si sono presi il tempo necessario per ribadire i loro concetti al massimo del proprio potenziale e, anche se probabilmente non saranno mai i primi della classe, il movimento americano non può che beneficiare di lavori in studio tanto corposi e concreti.