Ormai i gruppi alternative metal, con voce femminile e con tratti sinfonici non si contano più all’interno del globo terrestre. Hanno il merito di saper suonare e di avere delle cantanti di valore, ma anche il demerito di sembrare tutti decisamente uguali e poco ispirati. Non fanno eccezione neanche gli Edge Of Paradise che hanno nella cantante Margarita Monet la loro clamorosa fuoriclasse che è in grado di arrivare a toccare con la sua ugola delle vette decisamente improponibili per qualsiasi altro essere umano. Il problema serio è che, nonostante si abbia all’interno di una band del genere un vero e proprio fenomeno, non si riesca a creare della musica in grado di emozionare e scuotere pesantemente l’animo dell’ascoltatore. Nonostante “Hologram” si nutra di una produzione molto potente, il gruppo manca sia dell’estro pop di gente come gli Evanescence e sia del talento compositivo dei nostrani Lacuna Coil che hanno saputo da sempre sfruttare l’immagine e la capacità vocale di Cristina Scabbia. Qui, invece, l’album suona molto piatto. I brani risultano suonati a dovere e cantati ancora meglio, ma hanno il tremendo difetto di sembrare tutti uguali. Quando ci si discosta un pochino da una trama creata senza troppa fantasia e ci si addentra in territori diversi (“Basilisk”), dove gli Edge Of Paradise toccano il tanto vituperato new metal, il risultato è molto gradevole. Si tratta, però, di fiammate sporadiche e poco durature, dal momento che il resto dell’album non riesce mai a decollare. L’approccio freddo e la mancanza di pezzi da ricordare non possono fare altro che lasciare cadere nel dimenticatoio un disco che, a questo punto, dovrebbe piacere solo ai fan oltranzisti e incalliti del quintetto.