Ho potuto ascoltare ‘Flare’ con largo anticipo ma, curiosamente, il giorno in cui ho iniziato a scrivere questa recensione è uscito lo straordinario live video, che Emanuela Ligarò ha girato sul lago Västra Nedsjön, in Svezia. Importante perché la sua capacità di fondere il suono della Natura con la musica elettronica e le macchine che, in un modo o nell’altro, hanno a che vedere con lo sviluppo della tecnologia, è qualcosa di veramente raro da trovare in circolazione. Non solo in Italia, ma in tutta Europa e nel resto del mondo. Nel giro di pochi anni, l’autrice di ‘Transitions’ si è evoluta a tal punto da rendere del tutto inclassificabile e unica la propria proposta. In tal senso la produzione di ‘Flare’ è il risultato di un viaggio interiore, di uno sguardo che scava dentro e dell’esigenza di non porsi più alcun limite. Esattamente come ‘Safe’ pungeva e toccava proprio dove abbiamo i nostri punti deboli, ‘Flare’ illumina e travolge. Le architetture sono contemporanee e ogni dettaglio, a partire dalla voce, è curato in maniera maniacale eppure la scaletta scorre con sorprendente fluidità. A tratti emerge la formazione classica di Gold Mass, in altri frangenti invece la sua elettronica diventa liquida come quella di James Blake. Eppure il suono è potente, grasso, improvvisamente gigantesco. Tracce come ‘Earth’ e ‘There Should Be The Sky Above You’ possiedono un profilo internazionale sfacciato e il disco, mixato da Stefano Puddighinu, cresce di ascolto in ascolto a conferma di un’identità forte e di un percorso di ricerca, guardate cosa sta combinando Caterina Barbieri, che potrebbe donarci qualcosa di meraviglioso.