La vita artistica di Corey Glover in questi ultimi anni è molto intensa. Tra concerti con i Living Colour, revival di David Bowie e side band di ogni tipo, il cantante americano non è rimasto per niente con le mani in mano. Le sue ultime uscite discografiche, inoltre, sono risultate molto arrabbiate, nel senso che la musica che sta proponendo è decisamente pesante e, sotto certi punti di vista, si discosta molto da quanto fatto con i Living Colour, sebbene anche loro siano diventati duri negli ultimi tempi. Dopo aver flirtato prima con il crossover (Stevie D) e poi con gli anni ottanta grazie alla presenza di George Lynch negli Ultraphonix e dopo aver toccato con mano il metallo pesante (Disciples Of Verity), questa volta è il turno dell’alternative metal ad essere preso in considerazione dall’autore di “Cult Of Personality”, attraverso un altro progetto che vede coinvolti, tra gli altri, nomi importanti come il chitarrista degli Adrenaline Mob Mike Orlando. Ed è proprio quest’ultimo ad aver dato un imprinting determinante al sound di un supergruppo che risente in modo evidente della produzione realizzata con la sua band madre da parte dello stesso Orlando. Glover, da par suo, ci mette la voce, sforzandola, in alcuni casi, oltre misura e il risultato che ne viene fuori è un bel pastrocchio difficile da inquadrare anche dopo svariati ascolti. Ci sono momenti interessanti come il bel singolo “Higher” che è davvero una canzone perfetta e che ha un’apertura melodica di tutto rilievo. Va bene anche l’opener “I Am” che ha un tiro di qualità e che deve essere considerata come un soddisfacente biglietto da visita presentato dal quartetto. I problemi sorgono quando ci si prova a spostare sul campo soul-blues con pezzi arraffazzonati tipo “My Desire” o “Whisper To A Scream” che risultano essere un pastrocchio dove la voce di Glover si perde tra le soluzioni troppo arzigogolate e metalliche proposte da un Orlando che non è Vernon Reid. Per il resto tutte le altre canzoni sono molto toste, con alcune che si perdono nell’anonimato e altre che si salvano con dignità (vedi, “Come What May” e la titletrack). Il fare tanto, a volte, porta a un approccio ampio di vedute e su questo non ci piove. Servirebbe, però, anche brillantezza nel portare avanti progetti che, così come sono stati costruiti, non sono destinati a durare, come tutti quelli che Glover ha iniziato e poi non ha mai continuato lasciandoli cadere nel grigio dimenticatoio.