Ormai gli Offspring possono essere annoverati tra le stelle del rock mondiale mainstream. Da realtà new punk underground a band universalmente riconosciuta in tutto il pianeta il passaggio è stato lungo, ma necessario per far si che oggi il gruppo californiano, così come i Green Day, raggiungesse quel faticoso status multimilionario che lo porta a incidere dischi quando gli pare e piace. Del resto il trend è abbastanza facile e chiaro: studio, pugno di canzoni abbastanza stereotipate da registrare e lanciare ai fan, concerti sparsi per il mondo, tanti milioni di dollari che si materializzano sul conto con il cerchio che si chiude magicamente prima di riaprirsi dopo qualche anno di pausa passato a gestire affari. Insomma, il discorso in esame è lontanamente vicino agli ideali seguiti in passato da gente come i Ramones o i Clash. Un tempo Malcom McLaren parlava di grande truffa del rock ’n’ roll per classificare il punk e, probabilmente, non aveva tutti i torti. Dexter Holland e soci hanno capito il trucchetto e “Supercharged” non si distingue per niente dagli altri loro lavori, alla stregua di quanto facevano in passato icone popolari come i Motorhead o gli Ac/Dc. Perciò non bisogna meravigliarsi se qui dentro troviamo pezzi come “Light Up”, “Looking Out For #1” o “Make It Right” che abbiamo ascoltato migliaia di volte in chissà quali loro album precedenti. È un trucchetto che funziona e che regge perché questo disco, che vede anche la presenza di Josh Freese dietro le pelli in gran parte dei brani, è un bignami di tutto quanto già conosciamo degli Offspring. Dunque va tutto bene, tranne quando viene inserito il coro da stadio in “Come To Brazil” che, davvero, risulta inascoltabile e molto poco rock. Bazzecole, ad ogni modo, perché la linea che alla fine si traccerà tra un anno dirà che questi veterani avranno incassato ancora più soldi dai loro concerti e dalle vendite del nuovo disco che, nel frattempo, si sarà sciolto nelle menti di ognuno di noi come neve al sole. E qui si ritorna alla “buonanima” di Malcom McLaren e alla sua frase lanciata a fine anni settanta che ha fatto proseliti come poche, con buona pace dei puristi e degli idealisti.