Lo diciamo subito prima di addentrarci dentro alla recensione. Più si ascolta questo nuovo lavoro degli svedesi Dynazty, più la sensazione che ne deriva è quella di assoluto vuoto. Spieghiamoci meglio. Le undici canzoni che sono contenute in “Game Of Faces” sono ben suonate, cantate in maniera ineccepibile da Nils Molin, ma, sinceramente, non lasciano nulla. Parliamo di un sound quasi plastificato, algido, in cui le chitarre suonano uguali a tante altre che si ascoltano nei vari dischi di power metal che il mercato ci propina a scadenza giornaliera. Ne deriva che pezzi come la titletrack, “Call Of The Night” o “Die To Survive” possiedano potenza, molta prosopopea, tipica del genere in questione, ma che manchino di quell’afflato passionale che le possa portare ad un livello più elevato rispetto alla norma. Insomma, è il solito giochino che spesso arriva dalla Svezia, che rimane, sgombriamo ogni tipo di polemica, nazione che culturalmente e musicalmente sta cento avanti a tante altre. Il prodotto, dunque, è preconfezionato in maniera perfetta, ma se andiamo a scavare ci rimane poco da ricordare. Vogliamo parlare delle melodie e dei ritornelli che dovrebbero essere una trave portante dell’architettura di questo disco? Non c’è problema, lo possiamo fare senza paura. Ecco, è proprio qui che si apre una bella voragine. Queste canzoni non possiedono un ritornello che le possa far ricordare da qui ai prossimi mesi (non esageriamo se parliamo di anni). Il quadro, dunque, è pressoché nebuloso. In questo caso non si tratta di essere prevenuti, perché nessuno sta mettendo in dubbio il valore di una band che si sta comportando bene da anni. Il problema, almeno per chi scrive, è nel non aver trovato in questo platter emozioni e, soprattutto, canzoni che possano avere la forza di resistere all’usura del tempo.