Quando mi accingo a parlare dei milanesi sono sempre in difficoltà. Un po’ perché odio l’idea che le mie parole vengano prese come una marchetta o un favore fatto a degli amici. Niente di più lontano dalla verità anzi, se possibile, con i gruppi italiani, proprio per questo motivo, cerco di essere ancora più stretto e circostanziato. Un po' perché inevitabilmente scatta un certo senso di nostalgia. D’altra parte con Andrea, Cristina e tutti gli altri abbiamo vissuto un’epoca irripetibile. Gli anni novanta, il metal estremo che mutava forma, l’avvento del gothic, del nu metal, poi ancora del metalcore. Tutta una serie di cambiamenti che in un modo o nell’altro ci hanno legati. Non dimenticherò mai le prime interviste ai Lacuna Coil a Psycho!, il tour di spalla a The Gathering e Seigmen, il loro concerto al Siddharta di Prato, il primo Gods Of Metal. Con i ragazzi ci siamo incrociati tante volte anche all’estero – ricordo un loro superbo set a Manchester con Paradise Lost e Katatonia – oppure in occasione delle varie interviste di rito. E sono sempre qui, a lottare, a portare avanti una visione che non ha mai perso credibilità. Il loro sound si è aggiornato, è cresciuto, ha assunto connotati moderni ma senza mai mancare di rispetto ai valori che lo hanno generato. Ogni membro ha continuato a lavorare senza sosta per migliorare le proprie lacune o perfezionare una presenza sul palco che si è fatta gigantesca. ‘Sleepless Empire’, tra l’altro un bellissimo concept nel quale tutti possiamo identificarci, è un altro passo in avanti in carriera. Un grande successore di ‘Black Anima’, altro lavoro in studio che ha significato molto per i ragazzi, ma allo stesso un album che segna progressi sotto tanti punti di vista. Il primo è quello della produzione. I Lacuna Coil possiedono un guitar sound in questo lavoro che forse non avevano avuto neppure all’epoca delle collaborazioni con Don Gilmore (Linkin Park) o Jay Baumgardner (Coal Chamber, Godsmack) e chi può sapere se Marco "Maki" Coti Zelati, in fase di produzione e mixaggio, avrà tirato qualche dado di divinazione. Di sicuro, saltate le peggiori carte di Horns Up, ci ritroveremo sotto palco a cantare come pazzi le varie ‘Oxygen’ e ‘Gravity’ mentre la conclusiva ‘Never Dawn’ fa riferimento all’esperienza con il bestseller dei giochi da tavolo Zombicide (non a caso ‘Sleepless Empire’ in fase di presentazione è stato descritto come la narrazione di una generazione intrappolata in un mondo digitale che non si ferma mai, dove i social media distruggono l'identità e ci spingono, ogni giorno di più, a trasformarci in zombie senza anima). Randy Blythe dei Lamb Of God rende micidiale ‘Hosting The Shadow’, con Richard Meiz (ex-Genus Ordinis Dei) chirurgico dietro le pelli, e nei crediti troviamo pure Ash Costello dei New Years Day, ospite nella dinamica ‘In The Mean Time’ ma, tra inni di vulnerabilità, messaggi sociali, denunce e riflessioni su ciò che è veramente pericoloso per l’animo umano, ‘Sleepless Enemy’ cresce per la sua compattezza, di ascolto in ascolto. Non c’è solo un momento di pausa, un angolo di vuoto, una sospensione emotiva. Cristina è semplicemente eccezionale – l’interpretazione in ‘ I Wish You Were Dead’ rimarrà negli annali - e Andrea è abilissimo ad accendere i contrasti e completare un quadro originale e ricco di sfumature, rigorosamente in bianco e nero. Cicatrici che rimangono per sempre.