Quando si ha a che fare con i gruppi nei backstage o durante le interviste spesso si nota un certo grado di separazione tra etichetta e musicisti. Come dire ?fate il vostro lavoro e lasciateci fare il nostro? oppure ?l'arte non deve essere influenzata dal denaro? e discorsi del genere. Altre volte management e label lavorano di comune intento con i reali protagonisti della musica e fanno in modo di indirizzarli, guidarli, quasi fossero angeli che non devono sporcarsi le ali, nel complicato e corrotto universo dell'industria discografica. Non sono a conoscenza di quale sia il grado di commistione tra gli islandesi e la Season Of Mist. Di sicuro i francesi hanno un compito arduo ovvero promuovere il magnifico 'Ótta' all'estero, tra idiomi e culture differenti, laddove i vulcani non ricoprono di lava le spiagge, come nella splendida Reynisfjara ripresa in copertina, e l'eco orchestrale dei Sigur Rós non è ancora arrivata. Dopo esserci commossi per 'Köld' e 'Svartir Sandar', dopo avere accolto con sommo piacere la ristampa di 'Í Blóði Og Anda' ed avere subito l'alienante comparsa di un trailer dopo l'altro questo album è finalmente realtà. E siamo di fronte al capolavoro assoluto del quartetto. Registrate ai Sundlaugin Studios di Mosfellsbær dove oltre agli autori di '( )' e 'Valtari' sono cresciuti For A Minor Reflection, Sin Fang, Múm e Sóley, giusto per fare qualche nome, le otto tracce in questione hanno il potere di trasportare l'ascoltatore in territori estremi per poi accarezzarlo con melodie di purezza unica. Un po' come gli Ulver la band è partita dal black per poi sviluppare un tessuto strumentale molto più vario capace di contenere elementi progressive e post rock. A questo punto potrei lasciarvi alle note struggenti di 'Lágnætti' e smetterla di tediarvi con parole inutili. L'approccio è quello tipico dei compositori classici, le orchestrazioni tolgono il respiro e nelle gelide parti vocali di Aðalbjörn 'Addi' Tryggvason si percepisce il desiderio di confrontarsi con un pubblico più allargato. La title track e le conclusive 'Miðaftann' e 'Náttmál' sembrano volere ricordarci quanto sono trascorsi in fretta tre anni mentre l'apice assoluto viene raggiunto da 'Dagmál' che in sei minuti scarsi riassume i valori e la professionalità di una band monumentale. La mente vola all'ep 'Til Valhallar', al demo 'Black Death' che giunse tra le mie mani come una cassetta di altri tempi ed ancora alla convinzione di Birgir Jón 'Biggi' Birgisson quando discutevamo di 'Ótta'. Forse superfluo aggiungere che il guitar work è spaziale e Guðmundur Óli Pálmason si sbatte dietro alle pelli arrivando a trasmettere quasi un feeling industriale. Una cosa è certa. Ascoltando l'album percepirete le onde che si infrangono sulle nere scogliere, una foschia che apre al buio e cascate dorate che si ergono possenti sullo sfondo. Niente male davvero per dei cowboy che potrebbero essere usciti da un film di fantascienza o da chissà quale racconto di Halldór Laxness.