Considerato l'approccio del tutto elitario e professionale dell'autore in questione un suo lavoro solista non è mai un album facile. Figuriamoci dopo 'The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)', magnifica opera assimilabile al jazz e dal respiro artistico fuori dal comune. Ancora una volta Steven Wilson sorprende il suo folto seguito, stravolge tutto, mette da parte Blackfield e Porcupine Tree seguendo un profilo più minimale e lasciando che l'elettronica svolga un ruolo determinante nelle trame progressive e art rock di 'Hand Cannot Erase'. 'Perfect Life' e 'Ascendant Here On...' potrebbero essere prese ad esempio per descrivere la nuova fase del musicista originario di Hemel Hempstead ma il contenuto strumentale è così variegato che si fa veramente fatica a trarre una conclusione definitiva. Lo splendido dipinto in copertina lascia addirittura intendere che le assidue commistioni con il fotografo danese Lasse Hoile abbiano spinto a rendere la propria proposta ancora più visuale. Quasi come se la mente dietro a Bass Communion e 'Unreleased Electronic Music' volesse misurarsi su altri territori artistici pur partendo sempre dalla scuola del suono. '3 Years Older' esplica il concept legato alla drammatica vicenda di Joyce Carol Vincent ovvero una donna attraente, popolare, con una famiglia come tutte le altre e numerosi amici, che aveva scelto di vivere isolata. Una volta scomparsa nessuno si è accorto della sua assenza per tre lunghi anni. Un racconto spettrale da cui possono estrapolate riflessioni sia sulla solitudine che attanaglia il genere umano - a contrasto con una società che insegue solo il guadagno e, in tempi di internet e social network, non cura più i rapporti come prima - ma anche sul parallelo della vita del musicista, cresciuto in un sobborgo e poi trasferitosi nella capitale inglese con tutte le problematiche legate all'essere solo un numero sperduto in una delle più grandi metropoli del mondo. La title track e 'Routine' sono il risultato di una condivisione maggiore con la sua band che vede sempre protagonisti l'eccentrico bassista Nick Beggs, il batterista Marco Minnemann (Necrophagist, Kreator) ed il tastierista Adam Holzman (Miles Davis). Rispetto al passato meno spazio è stato devoluto al flauto ed al sax di Theo Travis ed in parte anche Guthrie Govan sembra soffrire la vicinanza col padrone di casa. Ciò non toglie che 'Hand Cannot Erase' scorra amabilmente con una fluidità impressionante nonostante lo spessore tecnico delle partiture. Sorprende in positivo la collaborazione con Ninet Tayeb mentre nella parte centrale – 'Home Invasion', 'Regret #9' e 'Transience' – si ha l'impressione che il verbo di 'Insurgentes' sia tornato attuale. Tra le sfumature dell'album percepiamo il desiderio di riscoprire l'urgenza e se vogliamo la follia di intraprendere una carriera solista quando questo personaggio schivo aveva tutto e veniva acclamato come il musicista più influente della cosiddetta post prog era. Sono trascorsi sei anni da 'The Incident' e sembra passata una vita ma la sua classe rimane limpida e, sebbene un nuovo lavoro della band madre sia atteso da tutta la comunità, durante l'ascolto non si avverte mai la caducità di un messaggio ancestrale che si è venuto a ripetere. Limitarlo con qualche definizione sarebbe ridicolo. Siamo al cospetto di un altro album in grado di sbaragliare la concorrenza e di ribattere con forza quanto indispensabile sia il suo artefice per il periodo storico che stiamo vivendo.