Ancora sconvolto dal death rock apocalittico di ‘Climax’ mi trovo al cospetto di un’altra entità multiforme che potrebbe scrivere nuove pagine della storia della musica dark. Per alcuni non sarà facile accettare la fine dei Beastmilk, la nuova line-up ed il passaggio dalla Svart Records alla Columbia/Sony in conseguenza del quale certi addetti ai lavori hanno già previsto concessioni commerciali inique. Quello che posso dire, dopo numerosi ascolti di ‘Dreamcrash’, è che se l’ex Code Mat McNerney ha volto il suo sguardo verso gli Editors non ci trovo nulla di strano anche se il suo percorso mi pare sempre orientato ad un recupero di atmosfere datate invece che condizionato dal relazionarsi con le tecnologie moderne. In questo senso la produzione di Tom Dalgety – diventato il produttore del momento su territorio britannico per i Royal Blood ma in passato anche al fianco dei Killing Joke – ha permesso di compiere questa transizione senza sofferenze. Magari col prossimo album il metal verrà completamente spazzato via ma per il momento la contaminazione sonora è ancora efficace. Mentre i Beastmilk interpretavano a loro modo i Bauhaus, i Grave Pleasures si rifanno di più ai Mission e fin dalle prime note di ‘Utopian Scream’ si percepisce come la band abbia costruito basi pop sublimi verniciandole in seguito di nero e grigio. ‘New Hip Moon’ e ‘Crying Wolves’ sono due pezzi straordinari ma anche in ‘Crisis’ e ‘Taste The Void’ troviamo quell’incedere decadente che ci aveva fatto amare tanto ‘Climax’. Rispetto a quell’album, ‘Dreamcrash’ è meno compatto ed appare il risultato di un contributo più condiviso con gli altri membri. Al posto di Goatspeed troviamo Linnéa Olsson, The Oath e Sonic Ritual, mentre la sezione ritmica è formata dal bassista Valtteri Arino e dall’ex batterista degli In Solitude Uno Bruniusson. ‘Crooked Vein’ il pezzo più lento e funebre. Quello che vi porterà a scegliere se rimanere sulla terra o scendere definitivamente negli abissi.