Dopo avere stupito ancora una volta con 'Hand. Cannot. Erase.' il polistrumentista e produttore britannico torna sul mercato con un'altra gemma che va ad arricchire una discografia invidiabile. Per certi versi '4 1/2' potrebbe essere considerato un mini album dato che buona parte delle canzoni risale alle precedenti sessioni di registrazione e che, rispetto a tutte le altre release, l'evoluzione non è così marcata come in passato. Nonostante le naturali similitudini in termini di songwriting e produzione la qualità complessiva si assesta comunque a livelli irraggiungibili per buona parte dei musicisti moderni. Con il passare degli anni anche l'etichetta “post prog” è diventata limitante per un artista che ha saputo conciliare la passione per psichedelia e jazz con un approccio sperimentale e mai sazio dei risultati ottenuti. 'My Book Of Regrets' si rivela il passaggio più canonico, con cambi di ritmo e sfumature che riportano alla mente i Porcupine Tree di 'Fear Of Blank Planet' e il secondo lavoro dei Blackfield. Il contributo di Marco Minnemann e Adam Holzmann è notevole e il progetto nato in collaborazione con Aviv Geffen viene citato anche in seguito con 'Happiness III' mentre 'Vermillioncore' è guidata dal basso di Nick Beggs e può vantare una base elettronica contagiosa. Gli altri due strumentali provocano sensazioni differenti: malinconica e lasciva 'Year Of The Plague', ambigua e sorprendente 'Sunday Rain Sets' In'. Il capolavoro è però a fine scaletta quando Steven Wilson e la cantante pop israeliana Ninet Tayeb riprendono 'Don't Hate Me'. Il pezzo, già incluso in 'Stupid Dream', è stato registrato dal vivo durante l'ultimo tour e poi arrangiato in studio con sovraincisioni che lo hanno reso ancora più toccante. Splendide l'edizioni in vinile 180 grammi e blu-ray contenente, oltre al solito meraviglioso artwork a cura di Lasse Hoile e Carl Glover, un mix dell'ambum 5.1, una nuova versione di 'Lazarus' e alcuni strumentali.