Perché non più Una ma Athos Molteni?
Il cambiamento enorme che si è verificato durante il passaggio dal Domestic EP a Diversions domandava un radicale cambiamento di identità. Mi auguro di non mettere capo ad un carosello schizofrenico di pseudonimi come Prince. Quindi Athos Molteni avrà vita lunga.
Sono trascorsi quattro anni da 'The Domestic EP'. Quanto siete cambiati dal punto di vista stilistico?
Per rispondere a questa domanda propongo a tutti i lettori un ascolto comparato dei due lavori. Vi sembra lo stesso gruppo? Indie rock? Folk wave? Adesso sta a te rispondere... L'etichettatura è una delle incombenze più divertenti e spinose che incontrano i critici professionisti. Non mi avventurerò nel ginepraio delle sigle. Tuttavia penso che l'enfatizzazione della componente “folk” suggerisca una lettura un po' storta della nostra musica.
Quanto tempo avete impiegato a comporre il materiale del vostro primo full lenght?
Parecchio tempo, come sanno tutti quelli che dopo un anno dal ‘The Domestic EP’ ci chiedevano: “E ora il disco quando esce?”
Cosa c'è dietro ad un titolo come 'Diversions'?
L'urgenza di svicolare, di ritagliarsi un cantuccio appartato, di abbordare le cose seguendo una rotta obliqua. Il fatto che il titolo dell'album non sia stampigliato bellamente in copertina, ma si nasconda sulla costola, è un'efficace metafora di questa presa di posizione.
Qual è il tuo diversivo preferito?
Scrivere racconti brevi. E impubblicabili.
Vuoi descriverci il Legri's Farm Studio? Dove si trova? Con quale tipologia di strumentazione avete lavorato?
Si tratta di un casolare appollaiato ai margini del bosco di Legri, sopra Calenzano. Lì esiste una sala prove ed uno studio di registrazione autocostruito con tutto il nostro patrimonio di strumenti. Se dovessi annotare il pezzo forte, probabilmente citerei il Wurlitzer suonato dal maestro Diego Boboli.
Oltre un anno di registrazioni e quasi un altro anno per fare uscire l'album. A cosa è dovuto tutto questo tempo?
Al fatto che dalla scrittura fino al mixaggio abbiamo fatto tutto da soli con la preziosa collaborazione di Tommaso Leonetti, che ha sorvegliato in maniera decisiva le fasi di registrazione e produzione. Inoltre insieme a Mitici Gorgi e Granprogetto – questi ultimi, dolorosa notizia, si sono sciolti da poco – abbiamo fondato l'etichetta discografica Millessei Dischi, e la realizzazione di questa impresa ha ovviamente preso il suo tempo. Aggiungi le banali lungaggini che si generano spontaneamente in coda ai buoni propositi, e compi quattro anni di attesa.
In tutto questo periodo sei riuscito ad ascoltare qualche disco interessante?
Ho ascoltato parecchie cose, anche se non con la dedizione che avrei voluto. Tuttavia se mi domandi un titolo secco, ti dico ‘The Seldom Seen Kid’ degli Elbow. Anche se domani potrei dirtene un altro. E anche se i Farewell To Hearth And Home, alla fine, suonano in maniera completamente diversa.
La copertina è quanto mai minimale dopo la spendida fotografia che presentava l'EP. A cosa dobbiamo questa scelta?
Abbiamo passato al setaccio un paio di progetti grafici visivamente molto eleganti e densi da un punto di vista narrativo, ma poi ci siamo domandati se ci fosse qualcosa che ci raccontasse meglio, senza mediazioni e sotterfugi. E ci siamo ricordati di avere un simbolo, che puoi interpretare come la traduzione grafica del nostro nome. Era già tutto lì dentro. Non c'era niente da aggiungere.
Prova adesso a recensire 'The Saddest Summer Ever Known' e 'Autumnal Us' per i nostri lettori…
Il primo è un rock and roll baldanzoso e sudato. Ma dietro il paravento della musica ballerina le parole scoperchiano l'abisso oscuro delle estati catatoniche. Il secondo è un pezzo infidamente complesso che finge di essere un inno da stadio, poi ballatona intimista, poi cavalcata rock. Il tema di archi che tiene insieme tutto è forse l'unico appiglio per imputare ai Farewell to Hearth and Home una discendenza dagli Arcade Fire.
Il testo di 'A Novel To Save Martin' nasconde un riferimento preciso?
Esatto. Ma non lo svelerò perchè stiamo valutando l'idea di imbastire una sorta di perverso indovinello e sottoporlo ai nostri ascoltatori. Ne sentirete parlare a breve.
Immagino di capire che preferite la campagna ai singhiozzi urbani e quindi vi chiedo quanto siete legati alla città?
La campagna è rifugio salvifico e temporaneo. In realtà tutti noi abitiamo la città, che diventa ora Firenze, ora Prato, ora Poggio a Caiano. E probabilmente con meno scontentezza di quella che traspare dal bisogno di fuga che divora il pellegrino della nostra copertina.
(parole di Athos Molteni)