Come sta andando il tour?
Siamo davvero eccitati. Quello di Milano è il primo show del nostro tour europeo. È probabile che stasera sarà fantastico. Ogni notte suoniamo dieci-dodici canzoni, un sacco di materiale dal nuovo album ‘The Great Depression’. Fin dalla sua uscita abbiamo utilizzato la dimensione live per immaginare da capo le tracce e da questa idea è nato ‘Denial: Reimagined’ e verranno fuori altri mini di questo tipo.
Siete la classica band che dal vivo è più heavy, hardcore ed aggressiva?
Assolutamente sì. In special modo quando suoni ad un festival ti rendi conto che partecipi ad una sorta di competizione in cui cercare di essere più potente o carismatico di tutti gli altri.
Uno dei più grandi fraintendimenti riguardo gli As It Is è legata alle vostre presunte influenze emo. Per fortuna non si parla più di emo di questi tempi..
Hai ragione. Per noi pop rock, alternative rock o anche semplicemente punk fa poca differenza. Dal momento in cui abbiamo iniziato questa avventura abbiamo cercato di fare di testa nostra, distinguerci dal resto della band e non accettare compromessi.
Qual è la canzone più rappresentativa dell’ultimo disco?
Senza dubbio ‘The Wounded World’. È l’unico pezzo di cui finora abbiamo suonato dal vivo la versione alternativa assieme a ‘The Question, The Answer’.
Com’è nata la collaborazione con Aaron Gillespie?
Per noi gli Underoath hanno sempre rappresentato una grande influenza. Quando eravamo in studio ho capito che ‘The Reaper’ aveva bisogno di un intervento esterno per spingersi su un livello superiore e lui è stata la prima persona a cui ho pensato.
Cambieresti qualcosa di ‘The Great Depression’?
Molto poco. Il songwriting è stato talmente spontaneo che non avremmo potuto prendere scelte differenti. Amo la produzione organica di Machine. Abbiamo puntato su di lui per come aveva saputo far suonare alcune band che rispettiamo molto come Protest The Hero, Four Year Strong e Suicide Silence.
Sei nato in Minnesota e ti sei trasferito in Inghilterra con la tua famiglia quando eri ancora molto giovane. Come è nata la band? Hai rimpianti riguardo agli Stati Uniti?
È passato tanto tempo da quando sono arrivato in Inghilterra, ho formato la band e ho trovato la mia prima fidanzata. Mi sono trasferito a Brighton per l’università e così ho incontrato gli altri membri. Ogni estate torno negli Stati Uniti ma ormai non sento più la differenza e questa è casa mia.
Parlare di depressione è stato qualcosa di pianificato oppure non hai avuto scelta?
È strano perché è un argomento di cui ancora si sa molto poco nonostante riguardi un po' tutti, a diversi stadi. Quando abbiamo annunciato il titolo del nuovo album ci sono arrivate subito delle email riguardo ai testi ed al fatto che avremmo trattato un argomento così vicino a certe persone. Nel primo tour di supporto all’album ci è capitato di discuterne con tanti fan sia prima che dopo gli show. Nella mia testa ‘The Great Depression’ avrebbe potuto essere il nostro ultimo disco e quindi ho fatto di tutto per tirare fuori quello che avevo dentro. Tramite l’etichetta, ho partecipato ad una campagna volta a spingere gli adolescenti a parlare liberamente dei loro problemi ed accettarli. Questo è l’unico modo per risolverli.
(parole di Patty Walters)