Di solito non amo le ristampe e spesso le versioni rimasterizzate di album di successo aggiungono poco a quanto detto in precedenza. Si rischia di passare per opportunisti e raschiare in fondo al barile ma non è questo il caso. ‘Host’ è infatti uno degli apici della carriera degli inglesi ed allo stesso tempo uno dei lavori più incompresi di sempre. Sulla fine degli anni ‘90, convinti dal riscontro di vendite di ‘Draconian Times’ e ‘One Second’, i quartieri generali della EMI misero sotto contratto i Paradise Lost che, potendo contare per la prima volta su una distribuzione major, decisero di puntare su un songwriting in apparenza più commerciale e di stampo elettronico e dark. Lontani dal doom death degli esordi, diedero alla luce un capolavoro di synth rock, ispirato da classici quali Depeche Mode, Duran Duran e New Order che però non venne visto di buon occhio dai metallari e non riuscì a conquistare altre fasce di pubblico come sperato (tanto che il successivo ‘Belive In Nothing’ non fu praticamente promosso dalla label). Adesso, a pochi mesi dal monumentale ‘Medusa’, le tredici tracce di ‘Host’ tornano sul mercato, dopo avere subito un trattamento di qualità, riproponendo a coloro che non ne avevano colto l’importanza arrangiamenti eleganti, sonorità accessibili e melodie adatte per le trasmissioni radiofoniche. Per chi ne aveva già goduto in passato, ascoltare di nuovo ‘So Much Is Lost’, in ogni caso ancora presente nelle setlist della band, ‘Nothing Sacred’ e ‘Ordinary Days’ rappresenta un colpo al cuore e non può che far riflettere sul coraggio di questi musicisti al cospetto del materiale heavy e oscuro dato alle stampe di recente.