Dopo diversi album “suonati”, che denotavano il desiderio di Bruce Soord di avvicinarsi il più possibile alla dimensione dal vivo, nell’ottica di rendere i live show più elettrizzanti, gli inglesi danno alle stampe uno dei loro dischi più emotivi e minimali di sempre. Risvolti di classe, tanta poesia e qualche rischio in più, in un periodo alquanto instabile e pericoloso per qualunque band al mondo. Il contributo di Gavin Harrison è sempre notevole ma a tratti il batterista dei Porcupine Tree sembra quasi agire sullo sfondo ed il cantato è quanto mai riflessivo ed oscuro. Anche l’esordio solista dell’artista originario del Somerset era piuttosto contemplativo ma, nello specifico, temi e atmosfere sono totalmente differenti. Il legame con il precedente ‘Dissolution’ è forte solo in un paio di episodi (‘Leave Me Be’) mentre un pezzo come ‘Demons’, un incredibile viaggio sonoro tra armonie riflessive e fondali nordici, caratterizzato da un’interpretazione vocale strepitosa e da intriganti aperture orchestrali, sembra voler segnare la strada per gli anni a venire. Qualunque sia la verità, parafrasando il titolo, ‘Versions Of The Truth’ è un album da ascoltare a fondo, preferibilmente con le cuffie, per scoprire tutta una serie di sfumature che lo rendono più vicini agli standard progressive, di quanto si possa effettivamente pensare di primo acchito. Il basso di Jon Sykes è spesso in evidenza, le tastiere si mischiano ad un pizzico di elettronica e pezzi come ‘Driving Like Maniacs’ e ‘Too Many Voices’ segnano un ulteriore evoluzione del rapporto del leader con la storica formazione guidata da Steven Wilson – in questo caso soprattutto il periodo tra ‘Deadwing’ e ‘Fear Of A Blank Planet’ - ed i Radiohead.