Sono certo che tra vent’anni i greci verranno rivalutati e se ne parlerà come una delle formazioni più importanti in ambito death metal. La loro provenienza geografica non li ha mai aiutati ma in circolazione sono poche le realtà estreme in grado di coniugare un suono tanto letale con melodie sofisticate, arrangiamenti sinfonici e retaggi industriali, ma soprattutto a riuscire ad offrire ogni volta ai propri fan una proposta artistica multidisciplinare così dettagliata. Le opere d’arte di Seth Siro Anton non si discutono, così come i video e le performance dal vivo, ma in ‘Modern Primitive’ c’è molto di più. Ci sono due anni di sofferenza, privazione e tendenza alla follia. Ci sono i riflessi di ‘Codex Omega’ ma anche il desiderio di omaggiare gli esordi. Un ritorno alle proprie radici con una produzione fresca e attualissima. ‘The Collector’ apre le danze con un subdolo arpeggio, poi ci pensa il growl malvagio di Spiros ed un paio di aperture sinfoniche da brividi a settare l’atmosfera per l’intero ascolto. ‘Neuromancer’ e ‘Psychohistory’ bilanciano passaggi pomposi ricchi di elementi orchestrali e una notevole dose di brutalità. Gli apici del disco sono quando la rabbia e la violenza più cinica lasciano spazio alla teatralità e improvvisamente tornano alla memoria dischi come ‘Extinct’ dei Moonspell e ‘The Plague Within’ dei Paradise Lost. Spettacolari alcuni risvolti tecnici di Christon Antoniou e Kerim Lechner ma tutta la band gira a mille e pezzi come ‘Hierophant’ - prima parte di una storia intitolata ‘Salvation’ che descrivere l’esperienza di un sacerdote che agisce come condottiero tra il Cielo e la Terra – e ‘Self Eater’ – “the crown of your destiny…” - marcano a fuoco il trionfo di un modo di pensare l’heavy metal. In chiusura, ‘A Dreadful Muse’ minaccia l’ascoltatore con del groove in contrasto con il resto del disco e il silenzio che ne scaturisce incute ancora più timore.