Quante volte avete letto un recensore affermare di non riuscire a trovare le parole giuste per descrivere la bellezza di un film o di un disco. Nello specifico è sul serio complicato e non nascondo di essere a disagio nel tentare di trovare dei termini che possano, anche solo lontanamente, simboleggiare ciò che provo scorrendo queste otto tracce. Un po’ perché l’epicità degli autori di ‘Lifa’ e ‘Futha’ ammutolisce e un po’ perché bisogna far parte della cosiddetta “amplified history” per non percepire al massimo l’evocativo messaggio, sia lirico che visivo, di un trio che non può in alcun modo provenire dal pianeta Terra. Non fatevi infatti tradire dalle note biografiche di Season Of Mist perché il collettivo folk metal fondato nelle lande danesi è tutto meno che terrestre. Nel corso di otto anni di attività il trio guidato da Maria Franz (Euzen, Songleikr), una voce che nasce negli abissi e che riesce a stupire sempre di più di canzone in canzone, è cresciuto esponenzialmente raggiungendo livelli di popolarità incredibili considerata la complessità dell’offerta artistica. Un’ascesa vertiginosa, a partire dall’autoproduzione ‘Ofnir’, e un’esperienza sonora senza precedenti, che trascende le coordinate della musica che ci siamo dati fino ad oggi. Parlare esclusivamente di musica o storia è comunque riduttivo perché siamo al cospetto di un portale per entrare in un’altra dimensione, di uno strumento prezioso per conoscere sé stessi e rapportarsi in maniera differente agli altri ed a tutto ciò che ci circonda. Il concetto di “raduno”, richiamato con quest’opera, non è particolarmente nuovo per chi ha partecipato ai ridondanti e potenti rituali dal vivo degli Heilung; è però di straordinaria importanza visto il periodo storico che stiamo attraversando e permette di riappropriarsi delle tradizioni e di un senso di unità, di scambio di idee e di reciproca ispirazione, che è sfuggito da tempo al genere umano. Kai Uwe Faust e Christopher Juul completano una formazione che si avvale di strumentazione arcaica come campane hindu, ravanahatha, corna di bufalo, ossa umane e animali, percussioni primitive, ma anche di stratificazioni elettroniche in grado di aumentare il fervore spirituale, ispirato alle iscrizioni runiche ed i testi delle popolazioni germaniche nell’era del Bronzo, del Ferro e Vichinga, ed il potere cinematico della proposta, per strappare il cuore dal petto dell’ascoltatore. I tredici minuti di ‘Tenet’ sono assolutamente da capogiro, ma indicare solo un pezzo in un contesto di questo tipo sarebbe assurdo. Godetevi quello che gli Heilung vi hanno regalato e basta.