Mettete il disco nello stereo e lanciate ‘Stab The Brain’. Una decina di secondi e verrete travolti dal più truce e brutale gore death che si possa trovare in circolazione. Da quando, nel 1989, hanno fatto la loro comparsa sullo scenario internazionale con classici quali ‘Severed Survival’ e ‘Mental Funeral’, gli Autopsy hanno fissato gli standard qualitativi per tutto il genere, influenzando in maniera pesante decine e decine di formazioni che hanno contributo all’evoluzione dello stesso. Più che maestri e divulgatori dei lati più ignobili dello spettro del metal estremo, così vengono descritti in fase di presentazione, trovo che che gli americani siano un punto di riferimento totale. Una certezza, una garanzia di efferatezza. Alla fine basta poco per essere felici, una serata libera, un paio di film horror con squarciamenti in quantità e zombie che spuntano ovunque e una manciata di tracce heavy metal senza compromessi. A otto anni da ‘Tourniquets, Hacksaws And Graves’ – nel frattempo è uscito l’EP ‘Skull Grinder’, il boxset ‘Skin Begins To Rot’ e addirittura tre compilation ovvero ‘After The Cutting’, ‘Critical Madness: The Demo Years’ e ‘Sign Of The Corpse’ - la loro sete di sangue non si è ancora placata e pezzi come ‘The Voracious One’ e ‘Knife Slice, Axe Chop’ sapranno riconciliarvi con il guitar work spaziale di Eric Cutler e Danny Coralles. Le registrazioni si sono svolte agli Opus Studios di Berkeley e Adam Munoz ha supportato il leader Chris Reifert alla ricerca di un sound che bilanciasse l’incedere primordiale del gruppo con qualche spunto più moderno e soprattutto mettesse in primo piano il basso di Greg Wilkinson (Static Abyss). Un album, presentato con l’avvincente cover di Wes Benscoter (Slayer, Bloodbath), che cesserà di farvi male solo quando i vostri occhi saranno trasformati in cenere.