Anche se in realtà il loro approccio è stato molto più vario di tanti colleghi, non a caso escono per un’etichetta aperta di mente come Arising Empire (While She Sleeps, Borders, Imminence..), sarebbe stupido attendersi novità da una formazione che ha fatto una ragione di vita dell’attitudine live e della fedeltà all’hardcore metallizzato di Blood For Blood, Hatebreed e Biohazard. L’ultimo capitolo della trilogia iniziata con il mini album del 2014, segna una ulteriore evoluzione in termini di produzione. La performance di Rob Watson è strepitosa ma quello che colpisce è l’efficacia dei featuring, evidentemente pianificati con cura durante la pandemia. La letale ‘Death Comes In 3’s’ e ‘Deathbed Confessional’ vedono Jamey Jasta sputare odio nel microfono mentre Alex Taylor dei Malevolence è una belva nella conclusiva ‘Exit Wounds’. Il guitar work di Walle Etzel e Nick Warner cresce di minuto in minuto e ‘Live By The Gun’ è omaggiata della presenza di una leggenda come Ice-T dei Body Count. A loro si aggiungono Anthony “Ant-Money” Martini degli E.Town Concrete (‘Stories From The Gutter’) e Los dei Desmadre (‘At War With The Gods’) per una serie di colori che probabilmente non si erano mai visti in un disco dei Lionheart. L’impatto live non è stato minimamente intaccato, al contrario i primi tre-quattro pezzi potrebbero essere eseguiti dal vivo senza alcuna interruzione per rendere ancora più ardua la vostra esperienza con una California segnata dal degrado sociale, dalla violenza, dalla povertà, dall’incuria e dalle ruberie della politica. Il basso di Richard Mathews è gigantesco in ‘New Money I Old Pain’, Jay Scott spacca tutto in ‘Bonnie & Clyde ’05’ e sinceramente non vedo nessun lavoro del passato di una spanna superiore a questo.