Gli svedesi hanno vissuto tanti momenti difficili. Dai problemi di dipendenza dall’alcol del chitarrista Jesper Strömblad alle critiche ricevute per il progressivo avvicinamento a sonorità alternative metal, non tutto è andato liscio però la risposta del gruppo non si è mai fatta attendere, soprattutto in sede live dove la qualità delle performance non ha risentito dei vari cambi di formazione. Di membri storici sono rimasti soltanto Anders Fridén e Björn Gelotte, ma il successore di ‘I, The Mask’ appare fin dai primi minuti di una solidità pazzesca e sono sicuro che l’ex-Megadeth Chris Broderick non farà rimpiangere troppo Niclas Engelin. La prestazione del frontman è strepitosa e ‘State Of Slow Decay’ è il manifesto della nuova era, tra elettronica e groove capaci di trasmettere un’energia spropositata. Non solo ‘Foregone’ non teme il confronto con i masterpiece del passato e si pone trasversale a quanto di meglio è stato dato alle stampe negli ultimi anni in ambito alternative metal e metalcore, ma appare il compendio migliore possibile all’opera prima dei The Halo Effect, un disco che al contrario ha fatto dell’approccio retrogrado un punto di forza. Le liriche non sono affatto banali e in alcuni passaggi il melodic death statuario degli esordi è dominante, e avere Tanner Wayne (ex-Underoath) dietro le pelli paga eccome, mentre in altri frangenti emergono le contaminazioni ed i contrasti tra clean vocals e growl. Al di là del valore intrinseco delle tracce – anche ‘Meet Your Maker’ e ‘The Great Deceiver’ sono spettacolari e non faranno fatica a diventare dei classici dal vivo – sorprende l’equilibrio tra nostalgia per il passato (‘Foregone Pt.1’) e strutture ritmiche immediatamente riconoscibili con invettive moderne, arrangiamenti coraggiosi ed un epicità in grado di raccogliere consensi tra i giovani (‘Bleeding Out’ e ‘In The Dark’). Riguardo ai suoni di chitarra e batteria poi non credo che ci fossero grandi dubbi. La produzione è stata curata ancora una volta da Anders Fridén e Howard Benson (P.O.D., Blindside, Otep..) mentre l’ex drummer Joe Rickard (Love And Death, Issues) si è occupato del mixaggio, con grande attenzione per le dinamiche e la profondità degli stacchi vocali. Di gran lunga il migliore album uscito per Nuclear Blast da diversi anni a questa parte e un lavoro che pretende fin d’ora un posto di diritto nelle playlist invernali.