Se la novità sono le chitarre ribassate di ‘Nobody’ e la citazione di Albert Camus – la copertina è chiaramente ispirata a La Peste, che per lo scrittore francese segnò un superamento del senso tragico e assurdo dell'esistenza umana, oltre al nichilismo di derivazione nietzscheana - siamo messi male. Dopo sette anni di silenzio, i californiani hanno deciso di mantenere Joe Barresi dietro la consolle per dare continuità, non si sa bene a cosa visto che il livello qualitativo di ‘The Stage’ era piuttosto basso, e non smarrire l’affetto dei vecchi fan. Sicuramente gli Avenged Sevenfold rimangono una band eclettica, in grado di spaziare dall’heavy metal al rock duro, dal prog al punk, senza porsi troppi problemi ma in termini compositivi il calo dai tempi d’oro è stato veramente drastico. Anche le idee buone sono impastate in arrangiamenti forzati, la confusione in certi frangenti domina (‘Cosmic’) e l’ambiziosa opera teatrale che Synyster Gates e M. Shadows hanno deciso di imbastire sarà senza ombra di dubbio complicata da ripetere dal vivo. Gli aspetti positivi sono riscontrabili soprattutto nella performance spettacolare di Brooks Wackerman dietro le pelli, suo il tiro pazzesco di ‘Mattel’ che omaggia in maniera palese ‘City Of Evil’, e nella capacità di non risultare mai noiosi. Prendete per esempio ‘We Love You’. Al suo interno ci sono almeno quattro pezzi diversi, ma non tutti funzionano e si ha spesso la sensazione che anche gli stessi membri siano nostalgici dell’era ‘Waking The Fallen/City Of Evil’ e non sappiano più come ripetere quel percorso. Sono infatti consapevoli che non bastano i soldi e tutta la strumentazione del mondo per spaccare come allora.