Oltre ad essere una donna bellissima, Louise è una brava attrice. É sufficiente ammirare i suoi video per rendersi conto che sa stare bene davanti alla videocamera, ma non credo in fase di intervista recitasse. Mai in passato mi era capitato di trovarmi al cospetto di un’artista veramente in difficoltà nel parlare delle sue canzoni. In qualche modo, la regina del death gospel non deve essersela passata bene e ‘Lifetime Of Tears’ riflette un periodo di sofferenza seguito da un’altro di accettazione del dolore. Icons Creating Evil Art, in fase di presentazione, la paragona a Cat Power, PJ Harvey e Lana Del Rey ma, in tutta sincerità, credo che il suo stile sia assolutamente unico, in bilico tra testi oscuri, melodie folk ataviche e architetture cinematiche. La collaborazione con Randall Dunn (Zola Jesus, Sunn O)))) si è arricchita, sgrassando il materiale dalla ruggine scandinava e rendendolo, pur esaltandone l’organicità, più internazionale possibile. Alcune tracce vedono la cantautrice muoversi liberamente tra rock e soul mentre in altri frangenti emerge il suo lato più introspettivo, che in sede live potrà subire deformazioni importanti. ‘Shattered Heart’ e ‘Tears As Fuel’ inaugurano una scaletta praticamente perfetta, capace di bilanciare armonie solari e passaggi atmosferici decadenti e malinconici. I sussulti emotivi maggiori arrivano in corrispondenza di ‘Midsummer Night’ e ‘Feels So Good’. ‘Mourn His Breath’ riporta alla mente ‘A Broken Heart Is An Open Heart’ mentre ‘Topanga Canyon’, località tra Santa Monica e Malibù che ha preso il nome dalla tribù nativa dei Tongva, lascia l’ascoltatore appeso ad una dimensione altra, in attesa che il silenzio, gelido e non certo poetico, frantumi i suoi miraggi. Non siamo al cospetto di un disco consolatorio o solare. Al contrario ‘Lifetime Of Tears’ dona ciò che promette, ma queste canzoni saranno comunque terapeutiche. Per chi le saprà ascoltare col cuore.