In tutta sincerità non mi spiego come gli svedesi non siano a livelli di popolarità assurdi. Sicuramente i cambi di cantante hanno influito, così come le divergenze con l’etichetta, ma in termini di synthpop e futurepop trovo molto poco in circolazione con la medesima qualità di songwriting. Il fatto è che i singoli degli Ashbury Heights sono sempre stati uno meglio dell’altro. Le loro melodie si ficcano in testa e ti costringono a ballare senza mai scadere nel mainstream a tutti i costi. La patina gotica che le ricopre è ancora bella spessa e anche se in scaletta troviamo vecchi inediti e nuove collaborazioni, dopo che la bellissima Yaz Uhlin è tornata nei ranghi, l’ascolto scorre compatto e travolgente. Nel successore di ‘The Victorial Wallflowers’ spiccano fin da subito ‘Is That Your Uniform’, facilmente decifrabile come omaggio agli esordi, e ‘Cutscense’, che vede ospite l’astro emergente dell’industrial pop Danny Blu. Marc dei Massive Ego si esalta in ‘One Trick Pony’, altra possibile hit che dal vivo farà sfaceli, mentre Madil Hardis (MONDTRÄUME) impreziosisce ‘Wild Eyes’. I demoni del leader Anders Hagström fuoriescono potenti in ‘Spectres From The Black Moss’, forse il pezzo più legato all’era ‘Three Cheers For The Newlydeads’ e quindi ad una miriade di formazioni che hanno segnato un periodo storico ben preciso e irripetibile. La scena ebm stava già calando e adesso non c’è praticamente più, con l’unica eccezione dei Priest di ‘Body Machine’ e ‘Dark Pulse’. Mi auguro di conseguenza che questo disco possa risuscitare in voi emozioni sopite, quella curiosità spasmodica di scavare negli archivi e recuperare le gemme nascoste di entità quali Covenant, Apoptygma Berzerk e Icon Of Coil. Nella seconda parte si distinguono ‘Escape Velocity’ e la versione aggiornata di ‘ Anti Ordinary’.