Prima ‘King’ e poi ‘Veleno’ hanno istituzionalizzato i Fleshgod Apocalypse come realtà estrema di livello internazionale, capace di tradurre in studio la violenza, la brutalità e l’impianto tecnico delle proprie performance live. L’incidente occorso a Francesco Paoli ha complicato i piani della band, in un periodo non certo semplice per i motivi che tutti conosciamo, ma allo stesso tempo ha reso ancora più forte la sete di rivincita e questo si sente benissimo in ‘Opera’. Di pari passo, siamo al cospetto del lavoro più vario e personale di una formazione che, non avendo più nulla da dimostrare, ha spinto l’acceleratore sulla componente creativa. Ce n’eravamo già accorti con la pubblicazione dei singoli (già ‘Pendulum’ e ‘Bloodclock’ erano un bel po’ -core...) che hanno anticipato l’uscita dell’album, presentato al mondo con l’epico artwork a cura di Felicita Fiorini. Uno diverso dall’altro e in grado di mostrare uno spettro di influenze enorme, dal metalcore al gothic, dal death metal melodico al symphonic metal, con largo spazio per Veronica Bordacchini (In Tenebra). Quando poi il promo di Nuclear Blast è arrivato in redazione, sono sobbalzato all’ascolto di pezzi come ‘At War With My Soul’, ‘Matricide 8.21’, vicino a certe cose degli In Flames, o ancora ‘Morphine Waltz’, che mi ha riportato alla memoria il periodo migliore dei Children Of Bodom. É evidente che i Fleshgod Apocalypse non abbiano più voglia di essere catalogati ed il calvario, fisico e psicologico, del leader (attivo anche con i Coffin Birth e con i fantasmagorici Oddko) si riflette in una serie di atti, come in un’opera lirica vera e propria, che trasmettono un senso di invicibilità incredibile. Numeri uno assoluti. Si meritano il massimo.