Se il mondo non dovesse improvvisamente mettersi a girare al contrario, è prevedibile che con quest’album i Sevendust vedranno pioversi addosso i pochi complimenti non ancora riscossi dal precedente ‘Home’, raggiungendo nel frattempo dati di vendita di primissimo piano. Un destino, a mio modesto parere, auspicabile ed assolutamente meritato, per una delle nuove band americane più tecniche, ispirate e attive sul fronte dei concerti. ‘Animosity’ corregge la mira ancora traballante del passato, focalizzando il songwriting verso un equilibrio perfetto tra strofe elaborate e ritornelli memorabili, ed infine esplodendo una precisissima pallottola destinata a perforare inevitabilmente i vostri padiglioni auricolari. La voce calda e rabbiosa, sensuale e corrosiva di Lajon Witherspoon (nel genere inferiore solo all’immenso Serj Tankian dei SOAD) domina questi tredici brani con la tracotanza di un tiranno e la sicurezza di un gambler professionista, evidenziando l’ammirevole espansione dello spettro sonoro della band, mai così attenta a valorizzare melodie introspettive e viscerali, che in più di un’occasione rimandano ai Soundgarden di ‘Superunknown’ ed agli indimenticabili Living Colour di ‘Stain’. Ovviamente non mancano gli episodi più anfetaminici, esaltati dal muro sonoro palpitante e moderno del produttore Ben Grosse, ma in generale il quintetto di Atlanta riesce a catturare l’attenzione dell’ascoltatore grazie a brani scevri di qualsiasi ovvietà compositiva ed una cura per gli arrangiamenti quasi maniacale. Il disco nu metal del mese? No, sarebbe assolutamente riduttivo