I signori dell'oscurità ci regalano un altro album immenso, capace di ridicolizzare la concorrenza e di farci riassaporare quel gusto gotico che con gli anni ha un po' abbandonato l'universo metal. I recenti trascorsi di Gregor Mackintosh e Nick Holmes con Vallenfyre e Bloodbath hanno convinto la band a indurire di nuovo il proprio songwriting e rendere omaggio, con la solita onestà ed una classe inarrivabile, il primo periodo della band. Stiamo parlando di quel periodo che vide i Paradise Lost crescere a vista d'occhio, non solo in patria ma anche lontano dai propri confini dove l'humus di tale sound era meno adatto, con album come 'Gothic', 'Shades Of God' e naturalmente 'Icon'. Il successore di 'Tragic Idol' è stato quindi spinto su territori più estremi e questo ha permesso al frontman, spettacolare la sua prova in 'Grand Morbid Funeral', di compiere un ulteriore passo verso le sue radici death e dimostrare al mondo di possedere uno dei growl più personali di sempre. I Paradise Lost di oggi suonano come se i primi due full lenght fossero stati appena accolti dalla critica, ferocia e cinismo sono quelli di una formazione ad inizio carriera ed il resto è tecnica pura esaltata da un produttore stimato quale Jaime Gomez Arellano che ricordiamo con Ghost, Ulver e Cathedral. 'No Hope In Sight' e 'Terminal' introducono l'ascoltatore tra atmosfere gloom, stacchi ritmici ferali e riff ossessivi descritti alla perfezione da Zbigniew Bielak in una copertina tra le migliori uscite negli ultimi tempi. 'Beneath Broken Earth' si distingue come l'episodio più lento e cadenzato, 'Return To The Sun' manderà fuori di testa i discepoli di vecchia data mentre 'Punishment Through Time' e 'Victim Of The Past' rappresentano quanto di meglio composto da anni a questa parte. Nella ferocia di 'Flesh From Bone' è racchiusa tutta l'attitudine live di una band che non si è mai piegata di fronte a niente e ha saputo farsi trovare pronta in qualunque momento.