Non so dirvi esattamente quando la resurrezione abbia avuto inizio ma una cosa è certa ovvero che gli In Flames di oggi non sono quelli mosci, disorientati e inconcludenti degli ultimi due lavori in studio. In effetti le ultime performance dal vivo avevano confortato una fanbase decisamente preoccupata dalla recente deriva indolente e malinconica e adesso, con un cambio drastico di location e produttore, gli svedesi sembrano pronti a spingersi nuovamente alle vette artistiche alle quali ci avevano abituato ad inizio carriera. Sarebbe assurdo attendersi un ritorno alle origini perché stilisticamente questi musicisti sono ormai lontani dall'epicità travolgente di 'The Jester Race' e non vogliono rinnegare l'inclusione di retaggi alternative metal, tanto nel tessuto strumentale quanto nelle linee vocali. Anche mettersi a fare paragoni tra Jesper Strömblad, Björn Gelotte e Niclas Engelin sfocerebbe nel ridicolo ma è palese che il passaggio da Berlino a Los Angeles, alla corte di Howard Benson, ha segnato un distacco da quel mood decadente che aveva caratterizzato le registrazioni del discusso 'Siren Charms'. 'The End' e ‘Before I Fall’ riportano alla mente il periodo di 'Reroute To Remain' e, nella magnetica ‘Here Until Forever’, Anders Fridén si erge ad assoluto protagonista dimostrando di essere diventato un frontman completo, capace di alternare growl e voce pulita senza cadere in citazioni superficiali ('Like Sand', 'In My Room' e soprattutto 'Us Against The World'). Rimane ancora qualche dubbio, su un paio di tracce sfacciatamente commerciali e sul sostituto di Daniel Svensson, però la sensazione è che i pionieri del death metal melodico siano finalmente tornati in carreggiata.