Un robusto alternative rock, in bilico tra influenze anglosassoni e americane, è quanto proposto dai milanesi che giungono al debutto su lunga distanza dopo due ep (‘The Isle’ e ‘Old Whale’) ed una discreta attività live. La loro crescita è evidente fin da un frettoloso sguardo dei video di ‘Seven Stories’ e ‘Dust’ che farebbe comodo a tante formazioni di fama mondiale in crisi di ispirazione. Alcuni percepiranno retaggi degli Incubus, altri degli Alter Bridge ed altri ancora qualche ammiccamento al panorama indie attuale. Personalmente ci sento anche alcune reminiscenze dei Guilty Method di ‘Touch’ ma in definitiva la personalità degli Atlantic Tides è già piuttosto buona e la notevole estensione vocale del frontman Gabriele Donolato permettono alla band di muoversi su più territori sonori con eccellenti risultati. ‘Drunk & High’ dimostra che i ragazzi sanno divertirsi e ‘Hard Times’ e ‘Bottles’ svelano invece un lato più serio e malinconico. L’iniziale ‘Cara’ e ‘Lily Of The Valley’ sono i passaggi più maturi di una scaletta che non annoia mai, è dotata di arrangiamenti ben costruiti e ha semmai la pecca di essere caratterizzata da una produzione eccessivamente pulita. Ascoltando ‘Atlantic Tides’ non si ha una percezione esatta di come la band suoni dal vivo ed in un periodo di crisi del mercato tale aspetto può rivelarsi penalizzante. Inoltre, nell’ottica di guadagnare posizioni sul panorama internazionale anche il suono di batteria dovrà essere aggiornato.