La prima domanda non è su Lunatic Soul ma sui Riverside e dopo capirai il motivo. Quali sono i vostri piani in questo momento?
Questo non è assolutamente l’anno dei Riverside. Ci siamo presi una pausa perché volevo dedicarmi al materiale solista e perché comunque con la band non saremmo potuti andare in tour. Il prossimo anno pubblicheremo qualcosa e torneremo attivi a tutti gli effetti.
Non ti pare che in questo momento il tuo progetto solista sia quasi più attivo della band principale?
Direi che lo sono allo stesso modo. Lunatic Soul non è certo più un mero progetto parallelo. Non è stato facile portarlo al livello dei Riverside, anche perché è comunque un progetto da studio e non vado in tour con queste canzoni. Rispetto ai Riverside, che sono la band principale e vivono per la dimensione dal vivo, con Lunatic Soul ho l’opportunità di creare universi musicali più originali. L’approccio è più intimo.
Come riesci a bilanciare entrambi i progetti sia nel cuore che nella testa?
I Riverside sono una rock band a tutti gli effetti. Facciamo prog e lo facciamo insieme. Da sempre siamo parte della famiglia del prog e, anche se talvolta sperimentiamo, finiamo per essere costantemente catalogati in quel genere. L’area compositiva è specifica, la strumentazione utilizzata più o meno la medesima e questo comporta dei limiti. Con Lunatic Soul invece non seguo un genere preciso. Ho pubblicato materiale rock, ambient, elettronico e adesso pure folk. I confini sono più ampi e le canzoni più originali. Con i Riverside sono il leader e devo raccogliere e finalizzare le idee di tutti i membri mentre in questo caso faccio tutto da solo.
Com’è nata l’influenza per la musica folk slava e scandinava?
Sono cresciuto in un luogo frequentato da tanti turisti slavi e sono sempre stato un fan della musica folk di quella regione bellissima. Non sto parlando dei Jethro Tull o di Mike Oldfield, ma di tutto quello che è venuto dopo i Dead Can Dance. Volevo connettere questo mondo con un approccio cinematico. Nella presentazione ho parlato di Heilung e Wardruna, ma non perché siano influenze specifiche. Volevo che la gente capisse che non si trattava del tipico progressive folk. Ho impiegato diversi anni per arrivare a pubblicare un disco come ‘Through Shaded Woods’.
Nella recensione ho parlato anche di Syd Barrett e David Sylvian..
Non mi sono riferito direttamente alla loro musica ma sono un grande appassionato della psichedelia e della malinconia che ha impregnato il loro songwriting e di conseguenza è normale che si rifletta nelle mie canzoni.
Che tipo di sound volevi ottenere?
Il mio riferimento più grande per questo processo è stato quello degli svedesi Hedningarna. Ho amato anche l’ultimo disco di Myrkur e alcune cose di Danheim, un’artista danese che non è troppo lontano dalla proposta degli Heilung. L’aspetto più singolare è che mi sono avvicinato a questa musica con la strumentazione rock e non utilizzando strumenti tradizionali. Un altro aspetto che mi piace sottolineare è l’assenza di batteria. Ci sono elementi percussivi ma manca una batteria vera e propria e questo per donare all’opera un fascino eterno. Ritengo che la batteria sia il modo più facile per capire da quale decennio proviene un album e la ragione per cui album come ‘Oxygene’ di Jean Michel Jarre è ancora attuale è questa.
Quali sono le tracce chiave?
Credo quelle più lunghe come ‘The Passage’, ‘Summoning Dance’ e ‘Transition II’ perché mostrano al meglio di cosa tratta il progetto e vivono su numerosi contrasti. Per quanto riguarda ‘Transition II’, ho pensato di inserirla perché l’album era solo di quaranta minuti. Di questi tempi probabilmente è anche una buona cosa ma io ho preferito regalare più materiale ai miei fan.
Il bosco di cui parli nel titolo è reale o solo nella tua mente?
In realtà da piccolo vivevo vicino ad un grande bosco, ma è più un processo mentale. Ho voluto trasmettere il fatto che per risolvere un problema è necessario affrontarlo. Agire e non aspettare o commiserarsi. Il bosco è una metafora della decisione di attraversare qualcosa e capire cosa c’è dopo.
Cosa ti manca di più del tour?
L’interazione con il pubblico. É il motivo per cui suono. Trovo che i Riverside siano molto più interessanti dal vivo che in studio.
(parole di Mariusz Duda)