Non so se questo sarà l’ultimo passaggio dell’evoluzione stilistica di Mikael Akerfeldt, una delle più incredibili dell’intera storia dell’heavy metal, ma di sicuro si tratta del più inaspettato. Gli svedesi hanno ormai abituato da anni i propri fan ad escursioni nel prog e nella psichedelia eppure in pochi si sarebbero attesi un’intro epica come ‘Garden Of Earthly Delights’, che pare uscire da una colonna sonora di Cliff Martinez (The Neon Demon, Drive) o un lavoro di Olafur Arnalds, prima del trionfo di ‘Dignity’, estensione moderna del concetto di musica dei Pink Floyd. Sarebbe sufficiente questa decina di minuti per spingere gli Opeth alle vette più alte dell’anno in corso ma ‘In Cauda Venenum’ è molto di più. Dopo qualche full lenght che trasmetteva la sensazione di una band in fase di transizione si ha finalmente l’impressione di essere al cospetto di un punto di arrivo, altissimo come lo sono stati ‘Morningrise’ o ‘Deliverance’. È vero che la musica degli Opeth nel frattempo è mutata parecchio, è vero altresì che la “verità universale” non esiste, ma è altrettanto vero che il loro continuum artistico ha saputo mantenersi credibile e per certi versi estremo alla faccia dei trend o dei condizionamenti del mercato discografico. ‘All Things Will Pass’ (in cui il leader canta in maniera superba) chiude, tra dissonanze e frammenti di specchi nei quali scorrere di nuovo le immagini sonore apparse in precedenza, l’ennesima fatica in studio da capogiro. Il fatto che Nuclear Blast abbia permesso la pubblicazione sia in inglese che in lingua madre denota devozione e rispetto per una band che merita il supporto più totale.