Quanto mi sono mancati i newyorkesi. Devo ammettere che neanche io avrei creduto che mi sarebbero mancati così dopo ‘Marauder’. Sarà colpa dell’oscurantismo che abbiamo vissuto o del fatto che quel disco non mi aveva convinto troppo e che dopo un lavoro personale come ‘El Pintor’ mi sarei atteso di più, ma questi quattro anni sono durati il doppio. Nella speranza che il gruppo torni presto nel nostro Paese, ‘The Other Side Of Make-Believe’ è un disco decisamente ritmico e subliminale, capace di evocare gli esordi ma anche di dare forza alla nuova era guidata da Paul Banks. Insieme a Flood e Alan Moulder è stato studiato un suono che, pur non avvalendosi di troppa elettronica, suscitasse interesse nelle fasce di pubblico più giovani senza per questo tradire i fanatici del post-punk revival. Apre le danze, in tutti i sensi, ‘Toni’ con il suo giro melodico affabile attorno al quale il regista Van Alpert ha creato un magnifico video e in ordine seguono ‘Fables’ e ‘Into The Night’ ovvero altre due potenziali hit. ‘Something Changed’ rimarca la differenza col passato mentre ‘Greenwich e ‘Big Shot City’ sfidano le dark band di oggi, più impegnate a rivestirsi di indie e piacere agli adolescenti che a scrivere canzoni in grado di competere con i classici degli anni ottanta. Il resto è Interpol al mille per mille. Ci sarà sempre chi dirà che i primi due album erano un’altra cosa o chi vedrà poca trasparenza nella scelta di mischiare l’hip hop con la materia di un tempo in ‘Passenger’, ma siamo comunque al cospetto di uno dei migliori album dell’anno.